Lasciata la capitale, ci dirigiamo verso una delle regioni più belle dell’Armenia, quella del lago di Sevan. Il lago è il più grande d’Armenia e uno dei più grandi d’alta quota al mondo, situato ad una altitudine di 1898 metri slm, con una profondità massima di 79 metri e una superficie di 1257 km2. Fino a una settantina di anni fa il lago era più vasto e profondo ma uno sciagurato progetto sovietico, simile a quello che ha portato al prosciugamento del lago d’Aral, ne ha ridotto il volume, solo in parte ripristinato negli ultimi 40 anni. La riduzione volumetrica è in qualche modo collegata al nome del lago: sev infatti, in armeno, vuol dire nero. E durante il periodo delle invasioni arabe (VII-IX secolo), gli armeni si rifugiarono su un’isola dove sorgeva un monastero (Sevanavank), dove vennero assediati dagli arabi. Era inverno e il ghiaccio sotto gli invasori si ruppe facendoli annegare. L’acqua divenne nera per i cadaveri. L’isola ora, dopo appunto l’abbassamento del livello dell’acqua, è diventata una penisola, permettendo al monastero, ora grande attrazione turistica, di essere collegato alla terraferma. D’estate il lago offre spiagge e località balneari, di inverno regala scorci incantevoli tra acqua blu intenso, montagne innevate le cui pendici si bagnano nel lago e più dolci colline. 

Prima del monastero va fatta però una tappa al cimitero di Noraduz. Noraduz è un cimitero che risale al X secolo e che conserva al suo interno la più grande collezione di khachkar esistenti (vanno dal X al XVII secolo). Gli azeri nel Nakhichevan hanno distrutto l’altro grande cimitero armeno, quello di Julfa. Un gesto folle, che ha cancellato testimonianze preziosissime d’arte medievale. Vecchio putrido vizio umano, quello di cancellare la storia e l’arte di un popolo per fiaccarlo e annichilirlo. Sono più di mille le lapidi decorate anche con scene di vita quotidiana contadina (si possono distinguere animali, uomini affaccendati, matrimoni, oltre alle classiche decorazioni floreali, geometriche e croci scolpite). Queste steli megalitiche risparmiarono, secondo un’antica storia, alla popolazione locale le sofferenze dell’invasione del Tamerlano. Infatti, gli armeni del posto misero elmi sulle steli e spade appoggiate ad esse, cosicché da lontano paressero un esercito in armi. L’esercito timuride dunque esitò dando tempo ai locali per trattare anzichè finire probabilmente massacrati sotto la nequizia tatara. Nella necropoli sono anche presenti due cappelle, una del secolo XI e una del secolo XVI. Un luogo di silenzio che trasmette quella malinconia che solo la presenza degli ultimi epigoni di una categoria sa donare. L’ultimo grande cimitero medievale armeno esistente.

Seguendo la strada che costeggia il lago, tra colline e canneti e lidi non balneabili in inverno, si arriva alla penisola (ex isola) di Sevanavank, dove sorge l’altro iconico monastero d’Armenia. Effettivamente, per posizione e paesaggio, è una delle attrazioni più belle che potete vedere nel paese. Fondato sul finire del secolo IX dalla figlia di Re Ashot I, la principessa Mariam, si trova praticamente sul cucuzzolo del promontorio della penisola e da esso si scorge praticamento tutto il perimetro del lago di Sevan. Era un complesso piuttosto grosso: due chiese con due grandi gavit, un seminario, il refettorio, uno scrittorio, in uso fino al XIX secolo e una piccola cinta di protezione. Entrato in decadenza alla fine del XIX secolo e usato come dimora del clero penitente, subì un vero tracollo durante gli inizi dell’epoca sovietica. Si salvarono praticamente solo le due chiese, simili e coeve (entrambe pesantemente rimaneggiate nel XVII secolo), quella dei Santi Apostoli (la più piccola) e della Santa Madre di Dio (la più grande). Al di là delle particolari cupole ottagonali, sono pregevoli le riproduzioni delle porte (quelle vere sono al museo di Storia Armena di Erevan) della chiesa della Santa Madre: la porta occidentale in noce, risalente al XII secolo riproduce i motivi cari ai khachkar, quella meridionale, del XV secolo, sempre in noce, è composta da una serie di bassorilievi che rappresentano l’iconografia della pentecoste. La combinazione armoniosa tra arte e paesaggio lo rende, a ragione, uno dei luoghi più visitati del paese. 

Le rive del lago offrono numerosi chalet e alloggiare in uno di questi regala quella pace che ristora dopo una giornata fredda e ventosa. Ma prima del riposo, a 45 minuti da Sevanavank, c’è la città di Dilijan, famosa per il parco naturale e le terme. Oltre alla città vecchia con le sue case coi balconi in legno decorati e al parco artificiale con al centro un monumento del “brutalismo” sovietico, celebrante il cinquantenario della Rivoluzione, vicino alla città si trovano due complessi monumentali molto simili, il monastero di Haghartsin e il monastero di Goshavank. Haghartsin, il monastero dell’aquila svettante, è un complesso di tre chiese di color avorio che, sia d’estate che di inverno, staccano dal verde o dal bruno dei boschi circostanti. Costruito nel XIII secolo sotto la dinastia dei Bagratidi si compone di tre chiese: Santa Madre di Dio, la più grande su due piani (uno non accessibile), San Gregorio, la più antica con il portone decorato da iscrizioni e una finestra a forma di croce in bassorilievo e Santo Stefano, la più piccola. Di San Gregorio rimane anche il gavit, mentre i resti del gavit della chiesa della Madre di Dio, sono preceduti dal grande refettorio dei monaci. Alle spalle della chiesa di Santo Stefano sta un albero cavo, che ha il potere, secondo la tradizione, di esaudire i desideri di coloro i quali passano attraverso di esso. Goshavank, vicino al lago di Gosh, fu costruito nel 1188 e durante il medioevo era un importante centro di studio delle lingue armena, latina, greca, nonché la lingua universale della musica. Oltre alle chiese della Santa Madre e di San Gregorio, c’è un piccolo mausoleo dei Bagrationi e la vecchia biblioteca, ormai priva dei pregiati volumi filologici e giuridici. Infatti, davanti alla chiesa principale, sta una statua moderna dedicata a colui che rese celebre il monastero, il giurista e sacerdote medievale Mkhitar Gosh, che redasse il primo codice di diritto canonico e civile armeno, il quale non venne utilizzato solo in Armenia ma anche nella Rutenia del XVI secolo, all’epoca parte del Regno di Polonia, zona soggetta a forte immigrazione armena.

A Dilijan si ha la possibilità di mangiare in molti ristoranti tipici: ne abbiamo scelto uno la cui sala era una yurta e nel quale il cibo, carne e verdure principalmente, veniva cotto alla vecchia maniera, arrostito e salato su una stufa di ghisa. 

Da Dilijan ci si sposta verso nella provincia del Lori. Prima di approdare nel capoluogo Stepanavan e gustare per cena melanzane ripiene di carne e pomodoro, coniglio speziato in fricassea e zuppa di pollo (le specialità della provincia) facciamo tre tappe. La prima è Odzun dove si trova un’enorme chiesa di felsite rosa costruita nel VI secolo su un altopiano dominato da un crinale. Costruita dal Catholicos Giovanni III il Filosofo, nel corso dei suoi quasi millecinquecento anni di storia, la basilica di San Giovanni ha subito numerose ricostruzioni che ne hanno notevolmente modificato l’aspetto originario. Su entrambi i lati ci sono i resti di un porticato e un monumento funerario molto antico, prima del VI secolo, che la tradizione vuole che sia un dono di un re indiano per l’aiuto ricevuto da un armeno di Odzun. La piattaforma a gradini sostiene due steli scolpite, ciascuna all’interno di una arco. I lati est e ovest del monumento sono scolpiti con scene tratte dalla Bibbia e riguardanti l’introduzione del cristianesimo in Armenia. I lati nord e sud sono scolpiti con motivi geometrici e forme floreali. Poco distante dalla chiesa rosa, nello sperduto villaggio di Ardvi, è sito un piccolo ma sfiziosissimo monastero, dedicato anch’esso a San Giovanni. Al villaggio ci si arriva tramite una sterrata carrabile, ma per arrivare al monastero si deve lasciare la macchina e proseguire a piedi. Il complesso è composto da due piccole chiese voltate a navata unica con un unico ingresso, una cella campanaria con campanile colonnato esagonale e resti di edifici monastici. E’ circondato da un basso recinto irregolare e contornato da diversi khachkar medievali. L’insieme risale all’VIII secolo ed è intitolato appunto al famoso Catholicos di Odzun. Giovanni il Filosofo fu a capo della chiesa armena tra i 714 e il 728 e fu una figura importante, come teologo, filosofo e diplomatico, presso la corte del Califfo Omar. La sua umiltà e la sua sapienza, fecero sì che trattasse col Califfo con successo sia la libertà della chiesa armena, sia una limitata autonomia amministrativa dei principi armeni. Del pari cercò di tutelare l’autonomia rituale della chiesa armena verso l’invadenza della corte imperiale bizantina. Passò gli ultimi anni della sua vita in quel romitorio e lì morì e fu sepolto. Nei pressi del monastero si trova una pietra legata alle capacità taumaturgiche di Giovanni: la tradizione vuole che un enorme serpente avesse attaccato il villaggio di Ardvi, uccidendo due discepoli di Giovanni, intervenuti per affrontare la bestia. A quel punto scese in campo il Catholicos in persona, che trasformò il serpente in un enorme masso. Il sangue del serpente si trasformò in acqua sorgiva, che tutt’ora sgorga poco sotto.

Lasciato questo minuto ma curiosissimo luogo, percorrendo una strada che costeggia un grande canyon, che regala scorci meravigliosi tra altipiano con verdi pascoli e dirupi rocciosi, si arriva alle rovine della fortezza medievale di Lori Berd, situate a 1490 metri e assise su una penisola lungo la profonda gola tagliata dai fiumi Dzoraget e Tashir. Costruita nel XI secolo, nel suo periodo d’oro doveva essere una roccaforte dalle dotazioni ragguardevoli: mura spesse più di 20 metri, alte 25, 2 o più bagni, 2 piscine con fontane, un palazzo residenziale, un sistema di tubature in argilla che portava acqua sorgiva da 5km di distanza, una chiesa di cui rimane solo un porticato (ma che si intuisce doveva essere piuttosto imponente), resti di una galleria di fuga sotterranea, terme e, sulle pareti del canyon dell’Urut, i resti di enormi piloni per l’antico ponte che permetteva alla fortezza di essere collegata alla città di Lori, ora un piccolo villaggio. A fondarla fu Davit Anoghin, nipote di Ashot il Misericordioso e fu la sede di uno dei più potenti stati feudali armeni sotto la dinastia bagratide, il Regno di Lori. La fortezza passò in molte mani: dai Bagratidi agli Orbeliani, dai Selgiuchidi ai Mongoli (che quasi la distrussero completamente), dai Persiani ai Georgiani, fino a decadere completamente del XVIII secolo. Ora è un parco archeologico di 3,5 ettari, testimone di una grandezza che si rivelò tutt’altro che imperitura. Purtroppo, essendo in inverno, non ci è possibile visitare l’arboreto di Stepanavan, un parco forestale di più di 500 specie provenienti da tutto il mondo.

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