di Irene Abra e Emma Cabascia
In vista dell’appena concluso vertice del G20, tenutosi a New Delhi in cui si sono incontrati diversi leader mondiali, il segretariato delle Nazioni Unite per il clima ha reso pubblico un “rapporto di sintesi” sui risultati delle tre riunioni tenutesi finora per discutere i progressi compiuti dai Paesi nel raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015.
Istituito dall’articolo 14 dell’Accordo di Parigi, il Global Stocktake ha lo scopo di “valutare i progressi collettivi verso il raggiungimento dello scopo dell’Accordo di Parigi e dei suoi obiettivi a lungo termine”. Tali obiettivi comprendono la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi °C e, idealmente, di 1,5 gradi °C; e l’allineamento del sostegno finanziario per coprire i danni causati dalla crisi climatica.
Il Global Stocktake ha lo scopo di analizzare i progressi dell’azione per il clima a livello globale – non a livello nazionale – e di identificare le lacune generali per il raggiungimento dell’Accordo di Parigi, nonché le opportunità per colmarle. Il primo Stocktake verrà formalizzato durante la conferenza sul clima delle Nazioni Unite di quest’anno (COP28) a dicembre valuterà i progressi compiuti a livello mondiale nel contenere la temperatura media globale al di sotto dei 2 gradi °C.
Il primo Global Stocktake segna la più ampia valutazione dell’azione globale sul cambiamento climatico fino ad oggi, distillando oltre 1.600 documenti provenienti da fonti diverse e attingendo da consultazioni non solo con scienziati e governi, ma anche con città, imprese, agricoltori, popolazioni indigene, società civile e altri.
Nell’Accordo di Parigi, le Parti hanno concordato che il Bilancio dovrà servire ai Paesi per aggiornare e migliorare le loro azioni e il loro sostegno al clima e per rafforzare la cooperazione internazionale per l’azione sul clima. Dovrebbe inoltre supportare i nuovi piani climatici dei Paesi (noti come “contributi determinati a livello nazionale” o NDC), che saranno completamente aggiornati nel 2025. La realizzazione del Global Stocktake ogni cinque anni ha lo scopo di garantire che i Paesi siano sempre più ambiziosi nelle loro azioni per mantenere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Il Global Stocktake potrebbe fornire la base per guidare le decisioni di politica climatica e di investimento dei Paesi e degli attori non statali. E potrebbe contribuire a promuovere azioni di trasformazione in sistemi come l’energia, la natura, il cibo e i trasporti.
Conclusioni
Il rapporto di 45 pagine presenta 17 risultati fondamentali che nel complesso suggeriscono che il mondo non è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, anche se c’è ancora una finestra “che si sta rapidamente restringendo” per i Paesi per mettersi sulla retta via. In termini di nuove informazioni, il rapporto di sintesi non rappresenta un aggiornamento significativo rispetto al rapporto di sintesi delle Nazioni Unite del 2022, pubblicato prima della COP 27 in Egitto, in cui sono stati analizzati gli NDC di 166 Paesi in cui si è giunta alla conclusione che erano inadeguati a raggiungere gli obiettivi concordati a Parigi.
I governi devono sostenere le modalità di transizione delle loro economie dal settore dei combustibili fossili e gli Stati e le comunità devono rafforzare gli sforzi. Sebbene il rapido cambiamento possa essere “dirompente”, i Paesi dovrebbero lavorare per garantire che la transizione economica sia equa e inclusiva. Il documento ha affermato che è necessaria una maggiore ambizione per ridurre le emissioni globali di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% nel 2035 e per raggiungere emissioni nette di CO2 pari a zero entro il 2050 a livello globale.
Per la prima volta, questo documento riconosce formalmente l’enorme salto di qualità dei finanziamenti necessari per la transizione del mondo verso un’economia basata sulle energie rinnovabili. La Dichiarazione “… ha rilevato la necessità di 5,8-5,9 trilioni di dollari nel periodo precedente al 2030, necessari per i Paesi a basso reddito, nonché di 4 trilioni di dollari all’anno per le tecnologie energetiche pulite entro il 2030, al fine di raggiungere l’obiettivo zero emissioni entro il 2050”.
Il Global Stocktake sarà presentato per la prima volta proprio in seno alla COP28 di Dubai. Istituito ai sensi dell’Articolo 14 dell’Accordo di Parigi già nel 2015, esso ha lo scopo di “valutare i progressi collettivi verso il raggiungimento dei target dell’Accordo e i suoi obiettivi a lungo termine”. Tali obiettivi includono “la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per limitare l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2 gradi e, idealmente, di 1.5 gradi” nonché “l’allineamento degli investimenti in finanza climatica nella misura e nelle proporzioni necessarie ad affrontare la crisi climatica”.
In altre parole, il Global Stocktake non è altro che un meccanismo di revisione quinquennale, creato al fine di valutare il livello di ambizione dei target di mitigazione stabiliti durante la COP21 di Parigi e verificarne l’adempimento da parte degli Stati membri, in un’ottica di contenimento del riscaldamento globale entro i +1.5°C.
La ratio di questo strumento di monitoraggio è infatti quella di offrire ai governi degli Stati firmatari un quadro di riferimento, una sorta di “inventario delle emissioni globali”, da consultare per indagare l’efficacia dei rispettivi piani nazionali sul clima (noti come “nationally determined contributions” o NDCs) e per assicurare un livello di ambizione sempre maggiore nell’elaborazione e nell’implementazione di politiche climatiche efficaci e lungimiranti.
A questo proposito, nonostante a Bonn i rappresentanti degli Stati siano riusciti ad accordarsi sulla struttura del testo da portare al tavolo dei negoziati in vista della prossima COP, tutto fa pensare che le tensioni tra Nord e Sud Globale persisteranno anche a Dubai, soprattutto sul tema della responsabilità. I Paesi del Sud rimarcano infatti l’importanza di includere nel bilancio finale del Global Stocktake anche le emissioni storiche di gas serra, vale a dire tutte quelle emissioni riconducibili a processi di industrializzazione tipicamente occidentali che hanno cominciato a produrre i loro effetti ben prima della firma dell’Accordo di Parigi nel 2015. Tuttavia, sul piano politico, è difficile, se non impossibile, credere tale richiesta verrà recepita dai Paesi del Nord, spesso restii a fare i conti con il fatto di aver contribuito, in maniera preponderante, all’innalzamento della temperatura media globale.
A rendere la situazione ancora più delicata, la pubblicazione recente del rapporto di valutazione delle Nazioni Unite sullo stato di attuazione degli impegni di Parigi, che ci mette ancora una volta dinnanzi ad una triste constatazione: siamo fuori strada, e di molto. Per evitare il superamento dei limiti planetari e dei cosiddetti tipping points serve un’azione rapida e coordinata, una trasformazione sistemica del nostro apparato socio-economico, che si traduca nel più breve tempo possibile nel phase out dai combustibili fossili e nello stop di tutti i sussidi inquinanti. Il report lo dice molto chiaramente: per contenere le temperature medie globali entro i fantomatici 1.5 gradi bisogna tassativamente tagliare le emissioni del 43% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019, e del 60% entro il 2035. È chiaro che si tratta di un obiettivo ambizioso, ma conosciamo bene la ricetta, abbiamo tutte le conoscenze tecniche del caso e soprattutto disponiamo di tutti gli ingredienti indispensabili per realizzarla. Tranne uno, l’ingrediente supremo, che ad oggi somiglia ancora ad una chimera: la volontà politica di chi ci governa.