Di Magali Prunaj
Da bambini, alla scuola elementare, ci viene insegnato l’italiano anche se siamo madrelingua italiani. Impariamo vocaboli che all’età di 6 o 7 anni non abbiamo mai usato, impariamo a leggere e scrivere, studiamo l’ortografia, la sintassi, la grammatica, la punteggiatura. E questo perché anche se da quando impariamo a parlare usiamo quella lingua dobbiamo migliorarla e perfezionarla, attraverso lo studio e l’esercizio, per usarla al meglio.
Questo lo facciamo anche quando studiamo una lingua nuova, perché la lingua è per sua natura un metodo di comunicazione chiaro e intellegibile se comune al gruppo di riferimento.
Se alla nascita siamo tutti dotati della facoltà di linguaggio, l’uso della lingua dobbiamo invece impararlo con il tempo e la pratica. Se vogliamo esprimere un sentimento, uno stato d’animo, gioia, tristezza, contentezza o disappunto, odio o amore; se vogliamo esprime un’opinione, anche solo raccontare un episodio di vita o una barzelletta, dobbiamo usare una lingua, un codice comune a tutti e comprensibile da tutti. Un codice fatto di regole, di elementi, di parti che nel tempo, a seconda della situazione sociale, culturale e ambientale, si modifica, si evolve, si diffonde.
La lingua è uno strumento importantissimo di comunicazione e se vogliamo che il nostro messaggio sia chiaro dobbiamo sempre usarla nel migliore dei modi e nel massimo della sua correttezza.
Ero in quarta o quinta liceo quando mi resi conto, in modo inconsapevole, di quanto questo concetto sia valido. La prof di tedesco ci restituì i compiti di letteratura e la mia parte di produzione scritta non era andata molto bene. Avevo usato male quel codice che caratterizza il tedesco. Errori di grammatica, di sintassi, parole inventate perché chissà dove era quel giorno il mio dizionario. La prof, che pur sforzandosi non aveva capito molto di ciò che avevo voluto dire, commentò con un lapidario “se la lingua è comunicazione…”
Sul momento rimasi male per questo commento, ma non l’ho più scordato e me lo sono portata dietro fino ad ora.
Ogni volta che scrivo qualcosa, che sia in italiano o in un’altra lingua, penso sempre “se la lingua è comunicazione” e a quel punto mi metto all’opera circondata da vocabolari, libri di grammatica, enciclopedie e tanta polvere. Raramente qualcuno si è lamentato del mio elaborato e mai perché non riuscisse a capire ciò che avevo da dire.
In un periodo storico in cui un insegnate non può permettersi di riprendere uno studente che si arrampica sui muri o rischia un richiamo, una sospensione e un ricorso al TAR, un commento del genere equivarrebbe a una dichiarazione di guerra.
E invece quel commento ha sortito l’effetto che si portava dietro: mettersi in gioco, impegnarsi di più per migliorarsi.
Perché poi, alla fine, la scuola questo è: dare gli strumenti e spronare alla vita.
E spesso un quattro insegna di più di un otto.