di Giovanni Maria Dettori
Sta diventando sempre più popolare per le aziende private descrivere le proprie operazioni come carbon (o climaticamente) neutrali, fissare obiettivi di emissioni “net zero” o cercare in altro modo di migliorare la propria immagine acquistando crediti di compensazione da progetti climatici. Inoltre, un certo numero di attori del mercato finanziario ha mostrato un crescente interesse a partecipare ai mercati dei crediti di carbonio. Questi sviluppi portano opportunità, ma anche rischi elevati (specie sotto il profilo della credibilità). L’impatto sul clima dei progetti finanziati attraverso la vendita di crediti di carbonio rimane difficile da determinare a causa di una grande mancanza di trasparenza sia nei progetti che nelle rivendicazioni aziendali. Senza trasparenza non è possibile un monitoraggio efficace dei progetti e degli impegni aziendali.
Un’inchiesta di circa 4 mesi fa aveva denunciato come le compensazioni di carbonio delle foreste approvate dal principale certificatore mondiale siano in gran parte prive di valore. L’indagine durata nove mesi è stata condotta dal Guardian, dal settimanale tedesco Die Zeit e da SourceMaterial, un’organizzazione di giornalismo investigativo senza scopo di lucro. Si basa su una nuova analisi di studi scientifici sugli schemi della foresta pluviale di Verra, lo standard di carbonio leader a livello mondiale per il mercato in rapida crescita delle compensazioni volontarie da 2 miliardi di dollari (£ 1,6 miliardi).
Questa ha rilevato che, sulla base dell’analisi di una percentuale significativa dei progetti, oltre il 90% dei loro crediti di compensazione della foresta pluviale – tra i più comunemente utilizzati dalle aziende – sono probabilmente “crediti fantasma” e non rappresentano vere e proprie riduzioni di carbonio. Lo scetticismo sul Carbon Market, mai stato particolarmente alle stelle, è quindi nuovamente cresciuto.
Come nasce il Carbon Market ?
ll termine “compensazione” è spesso utilizzato per comprendere tutti gli approcci volontari per mitigare o neutralizzare l’impatto climatico delle emissioni di gas a effetto serra di un’attività specifica.
Le origini dei mercati volontari del carbonio (VCM) si collocano in maniera antecedenti a tutti i mercati regolamentati. Il primo accordo mondiale di compensazione fu mediato nel 1989, quando AES Corp, una compagnia elettrica americana, investì in un progetto agroforestale in Guatemala. La AES ritenne di poter compensare i gas serra emessi durante la produzione di elettricità pagando gli agricoltori in Guatemala per piantare 50 milioni di pini ed eucalipti sulla loro terra. Nonostante lo scetticismo di queste formule da “business as usual”, non vi sono dubbi che tali pratiche abbiano contribuito a rendere piú appetibili gli accordi internazionali sul clima.
L’inserimento dei meccanismi di flessibilità furono decisivi per “sbloccare” i negoziati della Cop-3 di Kyoto. L’11 dicembre 1997, dopo estenuanti negoziati, il Protocollo viene firmato.
Nel 2005, non appena questo è entrato in vigore (grazie alla determinante ratifica da parte della Russia) si è assistito ad una crescita progressiva di un mercato del carbonio. Parallelamente, nasce un mercato volontario delle quote di carbonio, ispirato al modello delineato dal Clean Development Mechanism, uno dei meccanismi flessibili piú efficienti previsti dal Protocollo. Questo consentiva ai paesi di finanziare progetti di riduzione delle emissioni di gas serra in altri paesi e rivendicare le emissioni risparmiate come parte dei propri sforzi per raggiungere gli obiettivi internazionali sulle emissioni. I paesi potevano poi vendere le proprie quote in eccesso ad altri paesi.
Si sono delineate quindi quattro « istituzioni principali », intese come regole e modelli di comportamento consolidati, che hanno plasmato il cosiddetto VCM (Voluntary carbon market):
1) Standard volontari : Regole che inquadrano le procedure e i criteri per lo sviluppo e la verifica dei progetti.
2) Organizzazioni di standardizzazione : Istituzioni atte a sviluppare continuamente gli standard volontari monitorando l’applicazione ed emettendo crediti di carbonio verificati.
3) Verifica di terze parti: Ente che istituisce la verifica indipendente del rispetto delle norme. I revisori dei conti, denominati entità operative designate (DOE) (nel contesto del CDM) hanno fornito la necessaria assicurazione che le regole vengano effettivamente seguite.
4) Registri indipendenti dei crediti di carbonio: Per garantire che i crediti di carbonio emessi non possano essere registrati, rivendicati e quindi contati più volte, elencando in modo trasparente tutti i progetti verificati e le unità emesse.
Il VCM è quindi un mercato in cui i privati, le società e altri attori emettono, comprano e vendono crediti di carbonio al di fuori di strumenti regolamentati o obbligatori di determinazione del carbonio. Questo mira a mitigare i cambiamenti climatici creando uno spazio per gli attori privati per finanziare attività che rimuovano dall’atmosfera le emissioni di gas serra (GHG) o riducono le emissioni di GHG associate alle diverse attività economiche. Le aziende partecipano al VCM per investire in progetti che generano crediti GHG negoziabili, per acquisire crediti per compensare volontariamente le emissioni di gas a effetto serra, o per sostenere in altro modo la mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso attività di finanziamento.
Gli standard di carbonio privato che dominano il VCM oggi sono l’American Carbon Registry (ACR), il Climate Action Reserve (CAR), il Gold Standard (GS), e il Verified Carbon Standard.
La mancanza di una regolamentazione internazionale
Sono cresciute esponenzialmente anche le critiche a molti di questi standard privati, che non rispecchiano in maniera cara i valori di carbon offset. Come anticipato, secondo il consorzio investigativo SourceMaterial, e come riportato dai quotidiani “Die Zeit” (Germania) e il “The Guardian” (UK), un team di ricercatori internazionali avrebbe analizzato 29 degli 87 progetti di protezione delle foreste certificati dalla VERRA, il cui standard è il più utilizzato per progetti di compensazione (79% nel 2022) scoprendo che più del 90% sono compromessi, a tratti privi di fondamento.
Il cosiddetto “Overissuing” ha generato una palese necessità di standard internazionali chiari ed uguali per tutti, con riferimento anche al contesto privato. Negli ultimi anni sono stati avviati molti sistemi di scambio di emissioni, e la quantità di CO2-eq a cui è associato il prezzo del carbonio sta crescendo in maniera sostanziale. L’Accordo di Parigi potrebbe offrire ai Paesi un quadro di riferimento per unificare i sistemi e accedere a una gamma più ampia di opportunità di riduzione a costi inferiori… Eppure manca una regolamentazione giuridica forte a riguardo!
“E’ istituito un meccanismo per contribuire alla mitigazione delle emissioni di gas ad effetto serra e promuovere lo sviluppo sostenibile, sotto l’autorità e la guida della Conferenza delle Parti che agisce come riunione delle Parti all’Accordo di Parigi, rivolto alle Parti, che possono scegliere di utilizzarlo. Esso è gestito da un organo designato dalla Conferenza delle Parti che agisce come riunione delle Parti all’Accordo di Parigi e che mira a:
(a) promuovere la mitigazione delle emissioni di gas ad effetto serra, allo stesso tempo promuovendo lo sviluppo sostenibile:
(b) incentivare e facilitare la partecipazione, nella mitigazione delle emissioni di gas ad effetto serra, di soggetti pubblici e privati autorizzati da una Parte;
(c) contribuire alla riduzione dei livelli di emissione nel Paese ospitante, il quale trae beneficio dalle attività di mitigazione risultanti in riduzioni di emissioni che possono anche essere usate da un’altra Parte per ottemperare al proprio contributo determinato a livello nazionale; e
(d) produrre una complessiva mitigazione delle emissioni globali. “
(Art. 6.4 – Accordo di Parigi)
Dal 2015 in poi, le COP hanno fallito nel riuscire a costruire un mercato di compensazione chiaro. L’accordo di Parigi prevede che, man mano che le parti sottoscrivono i propri Nationally Determined Contribution ogni nuova revisione di questi NDC rappresenti una progressione al massimo grado di ambizione possibile. Considerato che le politiche introdotte per raggiungerli diventeranno più espansive e ambiziose, richiedendo quindi un’inclusione delle attività dei privati in maniera dettagliata, saranno necessari standard che siano stabiliti in maniera uniforme.
Il regolamento di attuazione dell’Accordo di Parigi è ancora in fase di negoziazione. Per questo gli attori del mercato volontario del carbonio faticano a definire il loro nuovo ruolo. Sebbene la sua importanza finanziaria e le riduzioni delle emissioni conseguite siano limitate, il ruolo del mercato volontario come incubatore per l’innovazione lo ha reso un rappresentante di spicco dei meccanismi di mitigazione non statali.
Intanto, occorre essere cauti quando si legge di brand o marchi “Climate neutral”. Lo standard Verra è stato impiegato quasi per i tre quarti di tutte le compensazioni volontarie messe in atto da business privati. Tanto per dare un’idea, il suo programma di protezione della foresta pluviale costituisce il 40% dei crediti che approva ed è stato lanciato prima dell’accordo di Parigi con l’obiettivo di generare entrate per proteggere gli ecosistemi.
Due diversi gruppi di scienziati, uno con sede a livello internazionale, l’altro di Cambridge nel Regno Unito, hanno esaminato un totale di circa due terzi degli 87 progetti attivi approvati da Verra.In molti casi mancavano dati reali per riuscire a individuare i benefici dei progetti.
Per dare un’idea solo una manciata di progetti per la foresta pluviale di Verra ha mostrato prove di riduzioni della deforestazione, secondo due studi, con ulteriori analisi che indicano che il 94% dei crediti non ha avuto alcun beneficio per il clima. La minaccia per le foreste era stata sopravvalutata in media di circa il 400% per i progetti Verra.
Se il diritto internazionale non provvederà a fermare tali pratiche di greenwashing, sarà sempre più difficile costruire un mercato internazionale di carbonio affidabile, che crei benefici reali e tangibili. Allo stesso tempo, risulta fondamentale se vogliamo che il perenne scetticismo riguardo questo tipo di strumento così tremendamente concorrenziale e sfacciatamente capitalista, il cui potenziale potrebbe comunque contribuire a un beneficio sotto il profilo della neutralità climatica.