La conversione ecologica da  Simmel a Papa Francesco, da Langer ai movimenti giovanili per il clima – ogni provvedimento è urgente perché siamo fuori tempo massimo

di Magali Prunai e Domenico Vito

Cosa avrebbe pensato della conversione ecologica Georg Simmel, sociologo tedesco che fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 pubblicò uno studio sull’uomo moderno?

Simmel evidenziava che nel momento in cui l’uomo abbandonava le realtà rurali di appartenenza per trasferirsi in città, in cerca di condizioni di vita ed economiche migliori, veniva da essa completamente inghiottito. La sua esistenza basata sul fare comunità, sulla lentezza e semplicità si trasforma, diventa più frenetica, incentrata sull’io, spostando l’attenzione dalla qualità della vita e di ciò che essa offre alla quantità di beni, all’accumulo.

Una frenesia che in un certo qual modo ci accomuna ancora oggi, uomini e donne del 2000, ai nostri antenati dalla seconda rivoluzione industriale in avanti. Una frenesia che era ben nota anche negli anni 80-90 del secolo scorso al giornalista, politico e intellettuale ambientalista Alex Langer, quando iniziò a parlare di calma e lentezza per scoprire nuovi valori e ripensare le nostre esistenze. “Lentius, Profundius, Suavius” era il motto da lui lanciato , che si contrapponeva a quello olimpico “Citius, Altius, Fortis” che, sempre secondo Langer, descriveva la società dei suoi tempi.

Langer teorizzò così la conversione ecologica, un processo morale ed etico, personale di ognuno di noi. Non un sistema alternativo alla transizione ecologica, ma un evento che le cammina accanto. Non possiamo ipotizzare di cambiare il sistema produttivo di uno Stato, del mondo intero, da uno altamente inquinante a uno più pulito se ogni singolo cittadino, oltre a volerlo fortemente, non si spende giorno dopo giorno per cambiare se stesso, il suo stile di vita e influenzare, nella grandezza della sua singolarità, le scelte politiche.

Diceva Langer che la paura dell’evento disastroso, la paura del cataclisma non smuove le coscienze come l’idea di un “benessere diffuso”. Non solo promettere, ma dare effettivamente un’alternativa migliore in termini economici, di sostenibilità e qualitativi farà sì che tanti, forse tutti, la preferiscano al sistema già noto. Il cambiamento, insomma, deve essere conveniente.

Lo stesso Papa Francesco, spiegando l’enciclica “Laudato si”, un’enciclica forzosamente definita ambientalista ma che in realtà si concentra su come l’uomo ha danneggiato e distrutto il Creato, ha sostenuto l’importanza della comunità, e del fare comunità, perché il cambiamento non solo ci sia ma che sia anche duraturo nel tempo. L’uomo ha abusato di ciò che il Pianeta ha offerto, depredando terra, acqua e cielo e ora deve innanzitutto rendersi conto del suo errore, pentirsi e attivarsi per rimediare.

Nella sua enciclica, altresì, Papa Francesco riprende il tema della “cura”: l’approccio dell’ecologia integrale si basa sul paradigma della cura che in qualche modo deve andare a sostituire quello dello sfruttamento compulsivo, del produttivismo forsennato dell’apparire in salute anziché esserlo nel profondo

Proprio questo paradigma – quello della cura – riassume diversi elementi che venivano proposti anche da Langer.

In prima istanza un rinnovato senso del tempo che rallenta dalla frenesia, e che nel curare va oltre il solo rallentare ma trova la sua giusta dimensione: il curare determina che tra curante e oggetto della cura si instauri il giusto ritmo, fatto di pause dovute e passi decisi se serve .

Inoltre la profondità: nel legame di cura si crea proprio un legame più profondo verso quasi un approccio al “noumeno” del legame stesso, a vari livelli, chiaramente, ma sempre oltre la superficie. La cura richiede una comprensione profonda che non può essere solo un numero seriale di produzione, un indice, un’apparenza.

Ed infine il soave: la cura deve dare sollievo. E’ fatta per questo, deve sollevare dalla pesantezza del dolore e deve essere “desiderabile”. Nonostante un possibile dolore iniziale, uno sforzo terapeutico, questo sforzo deve essere fatto per un’evoluzione, uno stadio di benessere più alto.

Forse proprio accompagnati da questi elementi si può entrare in questa dicotomia che spesso assilla gli ecologisti: conversione o transizione, sviluppo o decrescita o che cosa?.

La desiderabilità e la cura possono far vedere queste presupposte polarità in un’unica necessità: quella di evolvere . Quindi la transizione e la conversione diventano evoluzione. Un cambiamento necessario per la sopravvivenza, un cambiamento virtuoso perché crea vantaggio evolutivo.

La cura diventa il ritmo e l’approccio che dà la giusta dimensione. Questa dimensione è veloce o urgente? Certo che sì, ma la cura presuppone anche il rispetto del ritmo del legame tra curato e curante. Quello che è veramente importante sono il tono e l’intensità, ossia l’intenzione di transire.

Come nella fisica ogni sistema ha la sua frequenza di risonanza: cogliere questa frequenza è essenziale affinché una “transizione di stato” sia efficace. Lo stesso vale per la transizione ecologica applicata ai vari sistemi sociali e ambientali: questi si convertono, magari anche a diverso ritmo, ma l’importante è l’intensità con cui questa transizione avviene e la sua costanza ovviamente, la sua prospettiva temporale.

Così come una frequenza di risonanza coglie l’intero sistema, anche la transizione/conversione deve essere sistemica Quindi sì, una transizione ecologica è necessaria e urgente, ma è un processo che non può essere solo limitato alle azioni di uno Stato singolarmente o di un’aggregazione di Stati, come l’Unione Europea. 

Occorre partecipazione, e proprio per questo deve diventare “desiderabile”, “popolare”, “sentita”E’ dunque fondamentale che la coscienza, la mente e lo spirito di ognuno di noi si converta al cambiamento, che lo faccia suo, che lo persegua e metta in atto, ognuno come può, e che pretenda che chi di dovere prenda quelle decisioni più grandi e fondamentali.

In questo processo un grande ruolo lo stanno facendo i movimenti giovanili e non per il clima, da fridays for future a XR ad altri. Il loro ruolo di democratizzazione della battaglia climatica ha creato proprio quel processo di “coscientizzazione” della transizione che serviva. Questi movimenti sottolineano il tema dell’urgenza, che però non va colto solo in se, e giudicato tale. C’è urgenza ora perché siamo fuori tempo. Abbiamo perso tempo nel passato e ancora, purtroppo, fino a che chi non è “coscientizzato” non avrà potere decisionale lo perderemo nel dubbio se dover correre o meno. 

Ma come ogni buon corridore sa, quando si è indietro nella corsa, il miglior modo è accelerare il passo, cadenzarlo con costanza, senza troppo preoccuparsi del traguardo, ma aumentando l’intensità e l’intenzione.

Nella dicotomia tra transizione e conversione quindi, la risposta sta nell’evoluzione e nell’intenzione. Occorre agire ora, con decisione in modo corale e con una approccio alla cura. Solo così potremmo passare da un paradigma estrattivista frenetico in cui il benessere rimane in mano a pochi per poco tempo, ad un paradigma generativo e sostenibile in cui il benessere ritorna diffuso e più duraturo.

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