Di Giovanni Maria Dettori per Osservatorio Parigi

L’intervento di Joe Biden alla COP27 ha cercato di ricalibrare il ruolo degli USA all’interno
dell’UNFCCC che, sotto l’amministrazione Trump, si erano infatti ritirati dall’Accordo di Parigi
rischiando di disintegrare gli sforzi sottoscritti dal resto del mondo. Proprio per questo Joe Biden
ha posto l’accento sui passi avanti compiuti dalla sua amministrazione in questo senso, scusandosi
per il passo falso di “The Donald”: un’ammenda necessaria per riabilitare e rilanciare il ruolo del
colosso americano nella lotta al cambiamento climatico.
Per questo, il Presidente ha “mostrato i muscoli” ricordando quando, nel 1986, sottopose all’attenzione del Senato americano il primo
atto legislativo sul clima. In un lunghissimo e dettagliato discorso, ha quindi ribadito che gli Stati
Uniti stanno perseguendo uno sforzo su più fronti, che va dal potenziamento della rete elettrica,
agli interventi sulla mobilità elettrica, sino ad arrivare all’Inflation reduction act, uno dei fiori
all’occhiello dell’amministrazione Dem.
Ad accompagnare questa dichiarazione di intenti c’è stato l’elogio di una figura di spicco per
questa riabilitazione della lotta al cambiamento climatico a stelle e strisce: John Kerry. Biden si è
rivolto a lui con un tono che ha reso chiaro come il loro sia un rapporto che va oltre la semplice
stima: “John, il tuo impegno, la tua passione, la tua esperienza diplomatica si è rivelata
incredibilmente fondamentale per realizzare questi progressi sulle questioni climatiche. Grazie per
essere mio amico”.
Il Presidente ha quindi affermato che la COP 27 “è un momento per scrivere una storia migliore
per il mondo”. Il governo americano sta investendo i soldi per rispondere ai propri impegni sulla
responsabilità climatica (…). La crisi in atto ha a che vedere con la sicurezza umana, economica,
ambientale, nazionale e ovviamente della vita stessa del pianeta. Lottare contro il cambiamento
climatico è un imperativo. La nostra missione è evitare che ci sia una catastrofe climatica. Il nostro
obiettivo è quello di ridurre le emissioni del 50-52% entro il 2030. Il mio impegno sul clima è
incrollabile, faremo la nostra parte per evitare l’inferno climatico”.

Biden ha sottolineato che le responsabilità dovranno essere percepite come comuni per riuscire a
piegare permanentemente la curva delle emissioni: in questo senso, gli Stati Uniti hanno messo sul
piatto 150 milioni di dollari per gli sforzi di adattamento dell’Africa, e insieme all’Ue impegneranno
500 milioni di dollari per finanziare la transizione dell’Egitto verso l’energia pulita.
Infine, anche la guerra ha trovato spazio nel suo discorso: “Il conflitto in Ucraina accresce l’urgenza
di lasciarci alle spalle i combustibili fossili. Nessuna nazione può usare il tema energetico come
un’arma per tenere gli altri in ostaggio (…). C’è bisogno che i Paesi più sviluppati si facciano carico
di questo fardello, contribuendo all’emancipazione energetica di quelli in via di sviluppo. Se esiste
una cooperazione nel settore del carbone non c’è motivo per cui non ci si possa aiutare anche sul
fronte dell’energia verde”.
Il discorso del Presidente Biden è riuscito solo parzialmente a “ripulire” il pedigree americano in
tema di lotta al climate change. Gli sforzi dell’amministrazione Dem sono senz’altro un buon punto
d’inizio, ma dovranno accompagnarsi ad una rigorosa trasformazione sotto il profilo degli
investimenti e dei sussidi, che strizzano ancora troppo l’occhio al mondo dei combustibili fossili.
Inoltre c’è un altro paradigma che risulta necessario ridiscutere, ossia quello socio-culturale, dove
paga anche lo scarso appeal del Presidente americano agli occhi di molti suoi connazionali.