Di Magali Prunaj
Era il 1938 quando Ugo Foa, e con lui migliaia di altri bambini, fu espulso da tutte le scuole perché ebreo.
Aveva frequentato due anni di elementari insieme per fare prima e correre subito al ginnasio, ma la difesa della razza nella scuola fascista ha stroncato il suo sogno costringendolo a presentarsi agli esami da privatista, relegato in fondo a un’aula perché la sua sola presenza poteva urtare la sensibilità di qualcuno.
Adesso Ugo Foa ha 94 anni, da 30 gira per tutte le scuole, quelle stesse che 84 anni fa lo avevano cacciato, per raccontare ai giovanissimi di quando in Italia non eravamo tutti uguali e c’era chi, con la forza, imponeva la sua idea sugli altri. Nel 2021 ha portato la sua testimonianza in libreria, pubblicando “il bambino che non poteva andare a scuola” e all’inizio di quest’anno scolastico, insieme ad altri 10 ex scolari e 31 studenti del quarto anno della scuola realizzata da Rondine Cittadella della Pace di Arezzo, torna sui banchi di scuola.
Ugo Foa la maturità l’ha presa da un pezzo, nel 1946, e non torna a scuola per recuperare dopo 80 anni il tempo perso, ma per testimoniare, ancora una volta, le conseguenze di idee estreme, basate sull’odio, sulla paura, sulla violenza.
Qualcuno, commentando il Progetto Memoria nel quale si inserisce questa iniziativa, si è domandato se veramente necessario ancora oggi parlare di fascismo dato che, in Italia, non esiste più. Ma ne siamo proprio sicuri?
Siamo circondati da odio, diffidenza e violenza. Odio per chi ha la pelle di un colore diverso, per chi ha tradizioni culturali differenti. Diffidenza, che spesso sfocia in odio e violenza, nei confronti di chiunque scelga uno stile di vita non conforme al nostro, odio e aggressività nei confronti di chiunque abbia un’idea diversa dalla nostra.
Cos’altro è se non fascismo imporre la propria volontà con la forza, con arroganza, riversare le proprie frustrazioni, il proprio nervosismo causato da una società instabile sul presunto colpevole del momento? Una volta gli ebrei erano l’origine di ogni male, adesso si aggiungono un generico straniero, un generico musulmano e chiunque abbia uno stile di vita, un pensiero, dei gusti classificati come diversi, per qualcuno deviati.
Ecco perché è sempre bene ricordare ciò che è stato, per evitare che si ripresenti in una chiave moderna. Bisogna ricordarlo quando occupiamo abusivamente un posto riservato su un mezzo di pubblico trasporto e ci rifiutiamo di cederlo al legittimo destinatario; bisogna ricordarlo quando creiamo caste di cittadini nella nostra società in base al patrimonio o alla nazionalità. Bisogna ricordarlo quando giudichiamo senza conoscere e condanniamo senza possibilità di appello. Bisogna ricordarlo quando, per il nostro quieto vivere, ignoriamo i bisogni altrui, girandoci dall’altra parte, diventando involontariamente complici del declino della nostra società, di tanti piccoli soprusi e ingiustizie.
E non dobbiamo dimenticarlo quando facciamo valere la nostra voce di cittadini e chiediamo al nostro Stato di occuparsi di tutti noi, esprimendo la nostra volontà e indicando la via da seguire.
Senza mai dimenticare che alle volte da libere elezioni nascono le peggiori dittature.