di Vladistav Malashevskhyy in collaborazione con forzaucraina.it
La guerra provocata dalla Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina e – più in generale – ai valori fondanti dell’intera Europa rappresenta una crisi all’interno di una crisi di diversa natura e altrettanto preoccupante per le sorti del mondo: quella climatica e ambientale.
Negli ultimi anni ho avuto occasione di partecipare a diversi negoziati internazionali sul clima, come la Conferenza delle Parti (COP) della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici: il vertice più importante sulle questioni relative al cambiamento climatico, che riunisce annualmente i leader della quasi totalità delle nazioni del mondo e che quest’anno si svolgerà a novembre in Egitto (COP27).
Da febbraio di quest’anno, nella cornice di questi grandi congressi internazionali, una delle questioni più dibattute è senz’altro la seguente: Come saranno influenzati i negoziati sul clima dalla guerra in Ucraina iniziata dalla Federazione Russa?
Le prospettive non sembrano delle più rosee, in particolare per la COP.
La crisi climatica si sta manifestando in tutta la sua drammaticità come un’urgenza per tutti i Paesi del mondo, anche se ancora troppo poco si sta facendo per trovare delle soluzioni comuni e condivise.
Inquinamento, deforestazione, desertificazione, siccità, eventi estremi, mutamenti climatici stanno diventando problemi sempre più dibattuti in ogni agenda politica internazionale.
Il tema diventa quindi stringente e richiede soluzioni sempre più immediate e di ampia portata. Questo spesso si traduce in promesse o soluzioni di facciata, più che in soluzioni strutturali di lungo termine. Oppure, in soluzioni tampone su settori specifici.
Ciò non aiuta i negoziati, che rischiano di diventare una fiera e una vetrina politica in cui ciascuno mostra quanto sia environmental friendly, più che essere un momento di confronto e di ricerca di accordi strutturali.
A tutto questo, si aggiunge inoltre la decisione di organizzare il prossimo COP27 in una location discutibile come l’Egitto, che è lungi dall’essere un esempio di ambizione climatica e tantomeno di espressione democratica.
I negoziati rischiano quindi di essere strumentalizzati per fini d’immagine, più che per perseguire obiettivi seri e condivisi.
Inoltre, oltre alla già enorme complessità tecnica e diplomatica dei negoziati, si aggiunge la delicatissima e rovinosa situazione geopolitica internazionale, a causa in primis dell’invasione russa dell’Ucraina.
Questa situazione potrebbe portare ad uno stallo negoziale. Ma non sarà necessariamente così.
È però praticamente certo che la questione del conflitto entrerà nell’agenda dei negoziati e scatenerà accesi dibattiti.
È giusto che il tema dell’invasione russa rientri in tali negoziati? Certamente sì, perché anche questa guerra è una manifestazione di quello stesso sistema che ci ha condotto alla crisi climatica ed ambientale.
Il punto è proprio questo: guerra e ambienta non sono questioni slegate. Entrambe le crisi
sono mosse da modelli coloniali, di scontro e conflitto, anche se si sviluppano su livelli e portate
spaziali e temporali differenti.
Ignorare il tema del conflitto sui tavoli negoziali significherebbe non comprendere la portata del problema e le sue correlazioni con i gravi squilibri internazionali.
Sulla base della mia esperienza, avendo assistito ad alcuni processi negoziali negli anni scorsi, sono quasi certo che i negoziati più tecnici – quelli che si concentrano su articoli o settori specifici – proseguiranno. A questo tipo di negoziati l’indirizzo politico è già stato dato e solitamente hanno un ruolo più specificatamente implementativo.
I negoziati più politici, invece, saranno fortemente influenzati dalla crisi internazionale.
È ovvio che tutti si augurano che si giunga a degli accordi.
Vale però la pena osservare che durante i faticosi negoziati sull’Articolo 6 della scorsa COP26 molti sostenevano che “un mancato accordo è meglio di un accordo scritto male (a No Deal is better than a Bad Deal)”, che potrebbe portare ad azioni contrarie al fine ultimo dei negoziati.
Similmente, per quest’anno ha senso affermare che sotto alcuni punti di vista sia meglio una situazione di stallo in determinati negoziati, piuttosto che degli accordi incuranti della realtà geopolitica mondiale, ovvero della presenza di una Parte, la Federazione Russa, che attivamente e volutamente agisce bellicosamente e da terrorista, mossa da sentimenti di prevaricazione e colonialismo.
Ogni accordo perseguito dovrà essere quindi attentamente valutato affinché non si dimostri essere un disastroso cristallizzatore dello status quo.
In questo contesto l’Ucraina avrà quindi il delicato compito di tenere alta l’attenzione sui legami e le correlazioni tra l’invasione subita e il modello sociale che ha portato all’attuale disastro ambientale e climatico, evidenziandoli e sottolineandoli in tutte le sedi opportune, senza tuttavia bloccare i negoziati stessi.
Sarà poi compito di tutti – Parti negoziali, osservatori, media, società civile ed opinione pubblica – tenere l’attenzione sugli obiettivi ultimi dei negoziati, ovvero sulla volontà di perseguire un cambiamento sociale e politico necessario alla risoluzione della crisi ambientale e climatica, senza però ricadere in uno stallo diplomatico che sarebbe rovinoso.
E questo non può essere fatto senza considerare l’aggressione russa all’Ucraina, che ha la medesima matrice di ciò che si vuole cambiare e lasciare alle spalle.
La condanna internazionale alla Federazione Russa dovrà essere precisa, forte ed esplicita.
Di contrasto, la Federazione Russa cercherà di mostrarsi come un’alternativa – l’unica possibile – all’Occidente anche in ambito climatico, formulando proprie proposte.
Non è quindi da escludere un atteggiamento propositivo da parte del Cremlino, seppure con false proposte e soluzioni ed evidentemente con un atteggiamento di pura ipocrisia: da un lato uccidendo e distruggendo, dall’altro promettendo di impegnarsi per un futuro comune.
È anche vero che alcuni Paesi potrebbero assecondare la ricerca d’immagine della Federazione Russa per tentare di chiudere positivamente i negoziati.
In conclusione, c’è senza dubbio maggiore incertezza e variabilità sui risultati della futura COP in Egitto, ma la speranza di poter raggiungere degli accordi tramite il processo democratico e di consenso esiste: va solo tradotta in fatti. Il futuro non sia lasciato alle scelte di un paese aggressore e criminale. E l’arduo compito di portare a termine proficui accordi per il futuro comune del pianeta spetta a tutti gli attori in gioco, tra questi anche l’Ucraina.