La signora degli alberi e dei semi di pace

“Un albero spinge le radici nel profondo del terreno e tuttavia svetta alto nel cielo. Ci dice che per poter ambire a qualcosa dobbiamo essere ben piantati per terra e che, indipendentemente da quanto in alto arriviamo, è sempre dalle radici che attingiamo il nostro sostentamento.”
Attivista politica e sociale, ambientalista e biologa, Wangari Muta Maathai è stata la prima donna dell’Africa centro orientale a laurearsi, ottenere un dottorato e a ricevere nel 2004 il premio Nobel per la Pace “per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla Pace”. Dedicò la sua vita all’emancipazione femminile e alla salvaguardia degli ecosistemi del Kenya, portando avanti le sue battaglie in maniera determinata, ma sempre pacifica.

Maathai nasce il primo aprile del 1940 nel villaggio di Ihithe, distretto di Nyeri in Kenya, nelle vicinanze di un albero di fico “sacro”, quando il paese era ancora una colonia inglese.
In quegli anni le figlie dei contadini Kikuyu non andavano a scuola, ma suo fratello convinse la madre a lasciare che lei frequentasse con lui le elementari del villaggio, così a undici anni Maathai si iscrive alla St. Cecilia’s Intermediate Primary School dove impara l’inglese e si converte al cattolicesimo. Nel 1956 viene ammessa a una scuola superiore e, nel 1960, grazie al programma Ponte Aereo Kennedy, va a studiare negli Stati Uniti d’America. Nel 1966 è la prima donna centrafricana a laurearsi, in biologia, all’università di Pittsburgh e ad ottenere successivamente una cattedra in veterinaria all’Università di Nairobi.

Durante il soggiorno in America, erano gli anni dei movimenti per i diritti civili, scopre che nemmeno in un paese così ricco i diritti umani erano equamente ripartiti. Intanto il Kenya stava riconquistando la sua indipendenza, liberandosi dal colonialismo inglese. Tornata nel suo paese d’origine nota le grandi cicatrici lasciate dal colonialismo. Una Nazione impoverita sia economicamente che moralmente costretta a sostenere una politica di abbattimento delle foreste per venderne il legname e ricavare spazio per le piantagioni.
Così in occasione della giornata mondiale per l’ambiente del 1977, con altre donne del Consiglio nazionale delle Donne kenyota, pianta sette alberi in un parco appena fuori città. «Un simbolo di pace», spiegherà. Tale gesto segna la nascita del movimento ecologista femminile Green Belt, contro il degrado ambientale, la corruzione e il “tribalismo” del partito unico di Daniel arap Moi, presidente dal 1978 al 2002.

“L’istruzione non deve allontanare le persone dalla terra, ma infondere in loro ancora più rispetto per essa, perché le persone istruite sono in grado di capire cosa si sta perdendo”

Green Belt Movement nasce dall’idea che piantare alberi può essere una forma di azione pacifica e concreta contro i sistemi che creano povertà rurale, rendendo così possibile una coltivazione sostenibile “basata sulla comunità”. Nonostante il clima fortemente maschilista, le attiviste determinate a cambiare le cose, affidano la cura degli alberi alle donne locali. Attraverso una linea di azione fatta di educazione, pianificazione familiare, alimentazione consapevole e lotta alla corruzione, distribuiscono “semi di pace” villaggio per villaggio insegnando ad jaltre donne a curare i vivai, e a difenderli con forme di lotta non violente. A partire dagli anni ’80 Maathai e il suo movimento promuovono una forte campagna di sensibilizzazione verso i problemi ambientali e il disboscamento, che si diffonderà in tutta l’africa, arrivando a piantare nell’intero continente più di 31 milioni di alberi. Le idee e le lotte di Maathai iniziano a travalicare i confini del continente africano.
Intanto in Kenya, le attiviste vengono picchiate, incarcerate, diffamate e minacciate di morte, ma continuano la loro opera di piantare alberi e distribuire “semi di pace” protette da agenzie dell’Onu e da Ong straniere, e finanziate dalla Società forestale norvegese.
Il terzo vertice delle Nazioni Unite sulle donne del 1985 si tiene a Nairobi, le delegate internazionali visitano gli alberi da frutta e da legna che stanno crescendo attorno alle scuole, alle chiese, ai campi coltivati. Proprio da qui nascerà il Pan African Green Belt Network che riunirà quindici paesi impegnati a combattere la desertificazione, la siccità e la fame con la creazione di una cinta verde di 30 milioni di alberi che attraversà l’Africa subsahariana.

Maathai nonostante gli arresti e i tentativi di delegittimazione pubblica continua a battersi, per i diritti umani e civili, per la democrazia e per una società sostenibile e multietnica. La sua azione non violenta incoraggia le donne africane a lottare per una vita migliore e attira l’attenzione nazionale e internazionale sull’oppressione politica in Kenya. La sua critica alla corruzione del regime keniota le costerà pestaggi e altri arresti e diffamazioni. Daniel arap Moin dichiarerà che quelle donne sono una minaccia per l’ordine pubblico, devono tornare a casa e ci penserà lui a convincerle. La sua repressione sarà così crudele da impressionare l’opinione pubblica internazionale e da suscitare diverse proteste da parte dei governi stranieri, tanto che Il vice-presidente Al Gore chiede la liberazione delle prigioniere o gli Stati Uniti sospenderanno una parte degli aiuti bilaterali.
Grazie al suo impegno ambientale e sociale contro un regime oppressivo e corrotto, che tentò di impoverire ulteriormente il kenya svendendo le sue risorse naturali e reprimendo i diritti delle donne e di coloro i quali avevano opinioni e sogni diversi, nel 2002 Wangari Maathai diventa viceministro dell’ambiente del nuovo governo presieduto da Mwai Kibaki, eletto dopo 24 anni di regime.
Riceve diversi riconoscimenti e premi internazionali per il suo impegno per la pace e lo sviluppo sostenibile del suo continente tra cui il Global 550 dell’ONU e il Goldman Environmental Award. Nel 2004 è la prima donna africana a vincere il Premio Nobel per la pace, per “il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace”. Lo festeggerà piantando un albero nella terra rossa della valle dominata dal Monte Kenya.
Mama Miti, “la madre degli alberi”, nel 2005 è eletta presidente del Consiglio economico, sociale e culturale dell’Unione Africana e rappresenterà il continente in assemblee internazionali. Fonda nel 2006 insieme alle altre vincitrici del Nobel per la pace: Betty Williams e Mairead Corrigan, Rigoberta Menchu, Jody Williams e Shirin Ebadi, la Nobel Women’s Initiative un’organizzazione internazionale per supportare gruppi di donne in tutto il mondo nelle mobilitazioni per la giustizia, la pace e l’uguaglianza. Ci lascerà nel 2011 in seguito ad una lunga battaglia con un tumore.

Wangari Muta Maathai ha trasformato gli alberi in simboli di pace e democrazia, ha educato il mondo interno a prendersi cura della natura e dell’essere umano, ha diffuso “semi di pace” che hanno permesso il miglioramento delle condizioni economiche e sociali delle donne. Con il suo impegno civile, pacifico, ambientale ha contribuito al progresso non solo del continente africano ma dell’intera umanità. “Con il passare del tempo, l’albero è diventato anche un simbolo di pace e democratica risoluzione dei conflitti, specialmente durante gli scontri etnici in Kenya, quando il Green Belt Movement ha utilizzato gli alberi della pace per riconciliare fra loro le comunità in lotta. Durante la riscrittura ancora in corso della Costituzione del Kenya, simili alberi della pace sono stati piantati in molte zone del Paese per promuovere una cultura di pace. Usare gli alberi come simboli di pace significa essere fedeli a una diffusa tradizione africana. Per esempio, gli anziani del Kikuyu portavano un bastone dell’albero di thigi il quale, una volta posizionato in mezzo a due parti in lotta, le portava a smettere di combattersi e a cercare la riconciliazione. Molte comunità in Africa hanno queste tradizioni”. Brano tratto dal discorso tenuto in occasione del conferimento del Nobel per la pace.