Di Magali Prunaj
E’ un’estate calda, come tante altre estati lombarde, il sole di mezzo dì che un po’ assopisce e un po’ fa sognare gli svaghi, più freschi, del sabato sera. E’ sabato 10 luglio 1976, sono le 12.28 circa quando il sistema di controllo del reattore chimico A101 della società ICMESA, al confine fra i comuni di Meda e Seveso, va in avaria.
Nell’impianto, impiegato nella produzione di un componente di svariati diserbanti, il triclorofenolo, un composto organico formato da cloro e fenolo, la temperatura e la pressione salgono oltre i limiti previsti forse a causa di un incremento della produzione degli ultimi tempi.
La temperatura elevata raggiunta causò la modifica della reazione, producendo una sostanza estremamente tossica, la TCDD, chiamata comunemente diossina. La pressione sopra la norma causò lo scarico del contenuto in un sistema di sfogo, facendo però esplodere proprio quel dispositivo, il disco di rottura, che in casi del genere dovrebbe intervenire per mantenere in equilibrio il sistema. Fu così che in atmosfera si disperse l’intero contenuto del reattore. Se l’intero reparto di produzione non esplose lo dobbiamo a un operaio che, lavorando nel reparto vicino, dopo aver sentito un rumore strano, riuscì ad avviare per tempo il processo di raffreddamento.
Una volta che la diossina si disperse nell’ambiente in una quantità imprecisabile, il vento decise di metterci del suo trasportandola verso sud-est e formando una nube tossica, visibile a occhio nudo, che oltre al comune di Meda colpì anche Seveso, Cesano Maderno, Limbiate e Desio. Il comune maggiormente colpito fu quello di Seveso, che sorgeva nelle immediate vicinanze della fabbrica.
La certezza che nell’aria era stata sprigionata questa diossina ci fu solo il 14 luglio, dopo che la società chimica Givaudan, proprietaria della fabbrica, ordinò delle analisi ai suoi laboratori di Dubendorf senza, però, avvisare le autorità italiane.
Che qualcosa di grave era successo era facile intuirlo fin da subito poiché in seguito alla nube iniziarono le prime infiammazioni agli occhi, si sprigionò un odore acre nell’aria e furono visibili a occhio nudo i danni chimici sulle colture, per non parlare delle morti improvvise di piccoli animali domestici, di uccelli e di inspiegabili ustioni cutanee.
Il 15 luglio, su suggerimento dell’autorità sanitaria locale, i sindaci di Meda e Seveso emisero delle ordinanze che vietavano di toccare ortaggi, vegetazione, terreno e animali domestici e di essere estremamente scrupolosi nell’igiene di mani e indumenti. Pochi giorni dopo le ordinanze estesero il divieto al consumo di prodotti di origine animale provenienti dalla zona inquinata. Perché tutta Italia venisse a conoscenza di quanto stesse accadendo in una delle sue zone agricole dobbiamo aspettare, però, una settimana.
Givaudan finalmente il 19 luglio ammise la presenza di diossina nella nube tossica e il 21 luglio le autorità italiane divisero Seveso in tre zone: la zona A, la più colpita, che fu evacuata successivamente; la zona B, dove la situazione era leggermente meno grave e la zona R, che le autorità locali definirono maggiormente sotto controllo.
Tra la fine di luglio e i primi di agosto 676 abitanti di Seveso e 60 di Meda furono evacuati, 41 famiglie non poterono più rientrare nelle proprie abitazioni perché, impossibili da bonificare, furono distrutte.
In molti, soprattutto bambini, svilupparono una forma di dermatosi provocata dal contatto col cloro e derivati, la cloracne, che provoca cisti sebacee e lesioni cutanee permanenti. La flora locale si seccò e morì, mentre fu necessario abbattere molti animali contaminati. Nella zona A fu asportato il terreno fino a una profondità di 80 cm e sostituito da altro preso in zone non contaminate. Attualmente vi sorge il Parco Naturale Bosco delle Querce.
Per quanto riguarda la salute dell’uomo, studi ancora in corso hanno evidenziato che a distanza di più di 30 anni dalla contaminazione la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali è 6,6 volte maggiore rispetto al gruppo di controllo, oltre che a un aumento della mortalità per patologie cardiocircolatorie, broncopolmonari e ipertensive. Nonostante nella zona vi sia stata un’impennata di casi di tumori dalla nube tossica in avanti, molti esperti non hanno notato un incremento tale da poterlo far risalire esclusivamente alla contaminazione della zona (in 30 anni ci sono stati solo 18 casi di tumori in più rispetto alla media dei comuni limitrofi). Non sembrerebbero essere aumentati i tumori maligni, nonostante la TCDD sia classificata nel gruppo degli elementi certamente cancerogeni dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro, ma allo stesso tempo è stato osservato un incremento di linfomi, leucemie e mielomi e un aumento di casi di tumori al retto nei residenti delle zone A e B e circa il raddoppio di casi di tumore alla mammella fra i residenti della zona A.
Nonostante in Italia non fosse consentito l’aborto, visti gli studi sulla capacità della diossina di alterare il normale sviluppo del feto, il ministro della salute e il ministro della giustizia autorizzarono, col consenso del Presidente del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti, di praticare degli aborti terapeutici alle donne della zona che ne avessero fatto richiesta.
La tragedia di Seveso fece sì che il Consiglio Europeo, nel 1982, approvasse definitivamente una direttiva, nota come Direttiva Seveso, con la quale adottare una linea comune nell’identificare gli impianti industriali a rischio e sulla prevenzione.
Dopo un’inchiesta e un processo avviato dalla Procura di Monza, il sottosegretario agli interni Bruno Kessler e il presidente della giunta regionale della Lombardia, Giuseppe Guzzetti, raggiunsero un accordo con la Givaudan per un indennizzo di 103 miliardi e 634 milioni di lire da distribuire fra lo Stato, la Regione, le opere di bonifica e la sperimentazione, tanto che fu costituita una fondazione per ricerche ecologiche (oggi Fondazione Lombardia per l’Ambiente). I privati furono risarciti privatamente per una spesa totale affrontata dalla multinazionale di circa 200 miliardi di lire.