Di Magali Prunaj
Sfogliando un vecchio libro mi sono recentemente imbattuta nell’immagine di un quadro raffigurante una scena medievale. Per quanto la raffigurazione sia accurata, si tratta di un’opera dipinta probabilmente nel 1901, anno più anno meno, da Frank Bernard Dicksee, un pittore e illustratore inglese presidente della Royal Academy.
Anche se può stupire, in realtà in epoca vittoriana non era poi così strano imbattersi in opere di quel tipo. All’incirca a metà ottocento, infatti, nacque una nuova tecnica pittorica che, però, di nuovo aveva ben poco. Affine probabilmente all’art nouveau, altro non era che una trasposizione su tela del tardo romanticismo e decadentismo.
Gli esponenti di questa corrente, che si facevano chiamare preraffaelliti in quanto accusavano Raffaello di un eccessivo manierismo ed esaltazione della natura e volevano ripristinare lo stato dell’arte a prima della sua opera, miravano ad abolire i modelli tipici dell’età vittoriana, soprattutto quelli accademici, recuperando temi propri di un passato nostalgico e mitico.
Ed è così che nasce “la belle dame sans merci” (la bella dama senza pietà), in apparenza una pura e ingenua damigella medievale e il suo cavaliere senza macchia e senza peccato. In realtà l’opera trae ispirazione da una ballata di John Keats del 1819, 12 strofe per 4 versi l’una ispirate a loro volta da un poemetto del XV secolo di Alain Chartier, uno dei più importanti e noti poeti francesi del ‘400.
Nella ballata si narra dell’incontro di una dama misteriosa, dagli occhi selvaggi e bellissimi, figlia di una fata, e un cavaliere che improvvisamente si ritrova in un paesaggio sterile e desolato. Il cavaliere la fa salire sul suo cavallo e la porta alla grotta degli elfi. La mattina dopo, al suo risveglio, dopo aver sognato re e cavalieri che lo supplicano di non cadere nella trappola della donna, si ritrova sullo stesso gelido pendio dove era stato condotto dalla dama in un’attesa eterna, triste e solitaria.
Per quale ragione Keats crei questa sorta di “femme fatale” che porta all’oblio uomini retti resta un mistero, certo è che in quegli anni il tema era abbastanza ricorrente. Il suo contemporaneo tedesco Heinrich Heine racconta infatti della sirena Lorelei, una bellissima creatura, per metà donna e per metà pesce, dai lunghi e biondi capelli, colore dell’oro, che col suo dolce e melodioso canto attira i naviganti dalla sua roccia sul Reno facendo sì che trovino la morte perdendo completamente il controllo.
La componente fortemente misogina è sicuramente presente e innegabile, ma ciononostante non possiamo non rimanere ammaliati davanti alla musicalità e alla bellezza di certi sonetti. Così come le opere dei preraffaelliti, che pur non avendo nulla di nuovo nello stile o nei temi raffigurati rimangono di indubbia e rara bellezza.