Di Magali Prunaj

La prima volta che le donne andarono alle urne, in Italia, non fu esattamente il 2 giugno del 1946. Pochi mesi prima alcune elezioni amministrative chiamarono al voto elettrici ed elettori, anche se il 2 giugno, con il Referendum monarchia – Repubblica, poterono votare veramente per la prima volta tutte le donne maggiorenni.

Dopo anni di sofferenza, di bombe, di fame e di incertezza, finalmente veniva chiesta anche l’opinione della donna che, con quella scheda e quella matita, poteva dire cosa pensava. E la sua idea, la croce che avrebbe apposto su un nome o su un altro, avrebbe avuto lo stesso valore di quella di un uomo. Perché, e questo è uno degli aspetti più belli del voto, nessuno sa quale sia la scheda votata da una donna e quale da un uomo. Nessuno sa quale sia il voto espresso dal grande professionista o dall’operaio. Nella cabina elettorale siamo tutti uguali e il voto non viene considerato in base a chi lo ha espresso. Le schede sono tutte uguali, non ce ne è una rosa per le donne e una azzurra per gli uomini. Una blu per i nobili e una rossa per i proletari. E’ sempre la stessa.

L’Italia era tutta da ricostruire, gli italiani, che forse ancora non si sentivano così uniti come avrebbero dovuto, erano da fare e formare, le madri e i padri costituenti erano al lavoro e il Referendum del 2 giugno avrebbe sancito un passo importante proprio del loro lavoro, proprio per il futuro dell’Italia. Mantenere o meno il re? Quel re che aveva assistito inerme all’aumento delle violenze, all’insicurezza e alla paura nel paese, che non aveva posto alcun veto al potere di Mussolini, che aveva abbandonato la capitale nel momento in cui una guida era più che necessaria.

Quale fu il risultato delle elezioni lo sappiamo tutti, la Repubblica vinse con quasi 13 milioni di voti contro circa 11 milioni di italiani che chiedevano al re di rimanere. I risultati definitivi furono proclamati dalla Corte di Cassazione il 10 giugno, mentre la notte fra il 12 e il 13 Alcide De Gasperi assunse il ruolo di capo provvisorio dello Stato. Umberto II lasciò volontariamente l’Italia, dirigendosi in Portogallo, il 13 giugno stesso senza neanche aspettare l’esito del ricorso presentato dal partito monarchico. Ricorso che, comunque, la Corte di Cassazione respinse.

Si chiudeva così un capitolo lungo della storia d’Italia per iniziarne uno nuovo, pieno di speranza e di fiducia nel futuro. Un capitolo emozionante, per lo meno per tutte quelle donne che per la prima volta non erano più semplici angeli del focolare, incubatrici di figli e, al bisogno, braccia lavorative.

Me le immagino quel giorno svegliarsi presto per correre il prima possibile al seggio, pettinarsi e vestirsi per le grandi occasioni. La collana di perle, gli orecchini, un po’ di profumo ma niente rossetto perché la scheda andava chiusa, sigillata, leccandola e una traccia di trucco avrebbe potuto invalidarla.

E no, il primo voto non può essere dichiarato invalido!

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