di Francesco Postiglione e Domenico Vito

 Una nuova, straordinaria moltitudine universale di rivendicazioni è portata avanti con forza dai cittadini del mondo. Le origini di questo fenomeno non possono che essere individuate nella maggiore vicinanza e comunicazione di tutti i popoli della terra in grazia delle innovazioni tecnologiche, e dello sviluppo economico, in una parola grazie al progresso che ha avvicinato, specie nell’ultimo secolo, gli esseri umani. Lo stesso sviluppo industriale ed economico ha portato a sollevare domande inquietanti sulla sua sostenibilità in merito alle conseguenze ambientali ed ecologiche: e sono domande, queste, che non possono essere altro che domande universali, non di una popolazione o di una nazione, ma dell’umanità tutta. È di fronte alle tragedie, molto più che non di fronte ai successi dello sviluppo, che l’umanità si è trovata a porsi, ovunque, gli stessi interrogativi, trovando così un terreno comune, impensabile anche solo un secolo prima, su cui far confrontare gli stati e le nazioni. E la risposta non poteva che essere univoca. La risposta è la richiesta di partecipazione democratica alle decisioni che ci coinvolgono tutti.

La conseguenza è il sollevarsi di movimenti di protesta che rivendicano di fronte agli stati non un migliore trattamento dei propri cittadini, ma un migliore trattamento dei cittadini di altri stati, ponendo ai soggetti della politica istanze del tutto nuove e inaspettate. L’opinione pubblica mondiale, per effetto soprattutto della maggiore quantità di informazioni raggiungibili, chiede oggi di essere soggetto decisivo di influenza delle politiche degli stati.

Le guerre attualmente esistenti sul pianeta o sono conflitti etnici e civili (e sono la stragrande maggioranza) che rappresentano, per dir così, «lo stato di natura internazionale», non ancora toccato dalla mediazione della politica, o sono guerre che cercano in ogni modo la giustificazione internazionale sotto l’egida dell’ONU, a dimostrazione del fatto che il concetto di guerra come strumento politico di regolamento dei contrasti è ormai superato, a favore di un’idea di guerra come intervento di punizione di una forza internazionale nei confronti dello stato reo di qualche crimine. 

Di fronte a questi compiti, la strada di una nuova teoria politica mondiale è quella di spingere per la creazione nel più breve tempo di tutto l’apparato di istituzioni, organi e norme che sono in grado di completare il processo già avviato di costruzione di un ordinamento giuridico internazionale (non solo un «codice civile internazionale» dunque, ma anche un codice penale, con i relativi codici di procedura) che sia rappresentativo e garantista, in modo da rispettare i requisiti fondamentali della democrazia, la partecipazione e la rule of law. La politica deve trovare il coraggio di abbandonare il campo della trattativa internazionale costruita intorno alle relazioni diplomatiche (che presuppone ancora, in fondo, il pregiudizio anarchico dei rapporti di forza fra gli stati), per concentrarsi invece sul grande problema di creare un’entità istituzionale internazionale propriamente detta. 

Queste modifiche non possono più farsi attendere. La popolazione mondiale esige che l’ordinamento politico e giuridico internazionale rifletta in maniera trasparente la sempre più diretta continuità che caratterizza il filo di relazioni fra cittadini distribuiti nelle più diverse parti del mondo. 

È necessaria un’autentica svolta ideologica in senso internazionalista: la svolta sta nel comprendere che le popolazioni del mondo, con le loro manifestazioni pacifiste e le loro proteste contro le dittature delle multinazionali, hanno dichiarato apertamente di voler considerare i loro destini come indissolubilmente intrecciati, proprio come se un unico e solo patto sociale li abbia vincolati per scelta volontaria a una sola autorità. Questa autorità, che nel senso qui inteso ancora non esiste, deve assumersi le sue responsabilità e i suoi doveri. È compito di una politica nuova e rivoluzionaria avere il coraggio di pensare al mondo nuovo che i cittadini vogliono: la globalizzazione dei diritti e non solo dei capitali.

Tutti gli attuali movimenti pacifici di protesta, in Egitto, Francia, Georgia, Haiti, Hong Kong, Indonesia, Iraq, Libano, Sudan, Thailandia, e campagne di social media come Black Lives Matter o quella in Italia contro la omofobia e a sostegno del DDL Zan sono coinvolte in questa visione: ciò che i manifestanti vogliono in tutti questi casi è appunto la globalizzazione dei diritti in tutto il mondo. Le persone che sono membri di questi movimenti rappresentano esattamente quel patto sociale fra individui descritto da tutta la filosofia classica liberale, da Hobbes in poi, applicato a un contesto globalizzato e globale. 

Per esempio, nella recente crisi nei territori di Gaza praticamente ogni singolo occidentale dotato di un profilo social ha pubblicato post o frasi o immagini con cui in sostanza chiedere la cessazione dei bombardamenti. E’ stata un’istanza globale proveniente dal basso, da persone comuni singole e non da movimenti o partiti.

E proprio come negli anni ’90 con i movimenti No Global, c’è oggi una nuova occasione di veder nascere un movimento globale di protesta contro la guerra e le ingiustizie nel mondo. E vi sono caratteristiche comuni fra tutti questi movimenti di protesta: sono guidati da giovani, e sono portati avanti attraverso mezzi altamente tecnologici.

L’ultima caratteristica compare oggi per la prima volta nella storia mondiale.

Da sola, potrebbe costituire la ragione del successo nel chiedere con voce globale l’applicazione globale dei diritti in tutto il mondo, ma questi movimenti sono attualmente senza leader, senza portavoci ufficiali, e soprattutto senza un programma di riforme globali, proprio come per i No Global.

Sembra che siano movimenti senza rappresentanza e senza un programma. Greta Thunberg in questo senso non pare tanto una leader, al massimo può definirsi un simbolo o una portavoce al più.

Senza nessuna chiara idea o programma di come riformare gli attuali rapporti di forza fra gli stati, i movimenti attuali possono solo sperare di essere un grido di rabbia, come sembra essere l’istanza ambientale portata da Greta.

Le idee fin qui descritte di riforma dell’ONU possono costituire un tale programma, e possono essere utili anche solo a unire e rafforzare la diffusione dei movimenti di protesti. Anche se i rapporti di potere restassero più forti delle idee di riforma qui presentate, queste idee possono costituire una nuova crescente consapevolezza globale fra i giovani, conducendoli verso l’impegno politico. Creare una sorta di partito politico globale dei giovani del mondo.

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