Di Magali Prunaj
Medioevo tecnologico. Detta così sembra un po’ banale, scontato ed esagerato. Eppure facendo un viaggio virtuale per pagine social di vario genere si assiste proprio a un fenomeno che, per ora, non saprei come altro chiamarlo se non medioevo tecnologico.
Forse l’appunto che mi si potrebbe fare non è tanto quello che non possiamo chiamare l’era contemporanea medioevo perché troppi secoli sono trascorsi, ma più che altro che definire il medioevo ancora come “i secoli bui” è scorretto storicamente.
Ma per praticità della narrazione datemi per buono che il medioevo fu quell’epoca in cui studiavano in pochi, che per questa ragione si era facile preda di teorie a dir poco fantastiche, si facevano guerre come capitava e ci si lavava poco. E già così potrei interrompermi perché le analogie con l’era moderna sono tante, forse anche troppe. A partire dal lavarsi poco.
Quello che si aggiunge oggi sono fenomeni che allora, anche se conosciuti magari sotto una forma differente, non potevano diffondersi alla velocità odierna per assenza di una certa tecnologia estremamente avanzata che ci permette, in un nano secondo, di comunicare con tutto il mondo: internet.
Internet spopola di pagine scritte da chi afferma di conoscere l’assoluta verità su tutto e tutti, perché una sera un alieno proveniente da una galattica civiltà su una macchina lampo è atterrato sul suo terrazzo e gli ha rivelato il passato, il presente e il futuro. Almeno nel medioevo certi personaggi si spostavano a cavallo di un somarello o a piedi e impiegavano molto più tempo a diffondere le loro teorie.
All’arretratezza culturale, che invece uno strumento potente come internet potrebbe impedire o comunque limitare, si è aggiunto, con il boom dei social, l’aumentare di sentimenti di odio, perfidia e forse anche invidia. Non starò qua a raccontarvi di tutti coloro che, affetti da voyeurismo acuto, spiano la vita altrui. Se pubblichiamo una foto lo facciamo perché vogliamo condividere quel momento con altre persone, se qualcuno la guarda non possiamo offenderci. Ma se quella foto viene spiata più che guardata, per trovare a ogni costo qualche aspetto negativo, ecco che allora qualcosa non va più bene nel meccanismo di condivisione.
Per non parlare di chi, a mezzo social, pretende di poter dire la propria opinione, giusta o sbagliata che sia, lanciandola come un boomerang noncurante dei sentimenti altrui, del vissuto e di tanti altri fattori che dovrebbero almeno far riflettere sul linguaggio da usare.
E poi si arriva agli odiatori professionisti. Coloro i quali si sentono appagati se sanno di aver rabbuiato almeno per un minuto, che poi non è mai solo un minuto, la giornata di un’altra persona.
Recentemente ho spiegato ad alcune persone cos’è il “mansplaining”, un comportamento fastidioso e del tutto tipico di questo medioevo tecnologico. Sei una donna? Conosci bene un argomento perché magari sei la massima esperta in materia? Una persona qualsiasi di sesso opposto al tuo, di solito non del tutto competente, ha voluto spiegarti l’argomento? Lo ha fatto con aria di sufficienza, pensando che spiegarlo a te o a un gatto non avrebbe fatto troppa differenza visto le similari dimensioni del cervello del felino e della donna? Se la risposta a tutte queste domande è sì, o almeno a parte di esse, ecco che sei stata vittima di “mansplaining”.
E’ accaduto di recente a una scrittrice e divulgatrice storica, Mariangela Galatea Vaglio, autrice di simpatici e divertenti post social, libri e articoli vari. Più persone hanno ritenuto opportuno commentare un suo trafiletto dedicato al Consiglio di Nicea consigliandole di studiare meglio la storia e di approfondire su testi di veri storici, ovviamente tutti uomini.
La risposta, in linea con il suo solito sarcasmo, è arrivata ben presto. Anche se un po’ di amaro in bocca a me, personalmente, è rimasto. Non so ancora se ciò che le è capitato sia veramente “mansplaining” o altro ancora, ma so che il dover sempre dimostrare a chiunque, uomini e donne, che si è all’altezza di ciò che si scrive e dice è stancante e usurante.
Quindi, che fare? La società deve cambiare! Lo sento dire da che ho ricordi. Ma quando comincerà a cambiare questa società che non è un’entità astratta, ma qualcosa di concreto della quale facciamo tutti parte?
- In foto: Christine de Pizan istruisce suo figlio (attribuito al Maestro di Bedford, 1413 circa).