Di Magali Prunaj
E’ un pomeriggio come tanti se non fosse per quei fastidiosi crampi alla pancia, un leggero senso di vertigine e un po’ di nausea. Vai in bagno e hai la conferma che quei dolori altro non sono che il tuo ventottesimo giorno del tuo mese personale, è arrivato il ciclo mestruale, o più propriamente il flusso. Basta lavarsi per sentirsi già meglio, se proprio si sta male un antidolorifico o una borsa dell’acqua calda, poltrona, copertina e un buon libro o un buon film e pian piano passa qualsiasi fastidio.
Ora immaginate che sia un inverno molto freddo, nevica o è nevicato qualche giorno fa. Voi avete freddo, tanto freddo perché siete vestite con una semplice casacca e dei pantaloni logori. Non avete più capelli, ve li hanno rasati giorni fa, mesi fa, al vostro arrivo in questa “città” enorme. Dormite in una baracca, non avete coperte e il vostro pasto è una zuppetta d’acqua inconsistente. Ogni mattina vi dovete schierare con altre centinaia di donne, o che una volta erano donne, su un piazzale, freddo, nebbioso, per l’appello prima di essere portate a lavorare come schiave. Ed ecco che arriva la nausea, il senso di vertigine, i crampi alla pancia. Il terrore che in quella situazione arrivino le mestruazioni, senza la possibilità di lavarsi, di tamponare in qualche modo, dover sanguinare davanti a tutti, sporcare quella divisa e averla perennemente sporca, incrostata di sangue finché le forze non vengono meno e ci si lascia andare al dolce torpore della morte.
Ma poi in realtà la nausea, i dolori, le vertigini altro non sono che la fame e gli stenti. Le mestruazioni sono scomparse. Sono scomparse per lo shock, per le violenze quotidiane, per l’alimentazione quasi inesistente e sono scomparse a quasi il 94% delle donne deportate nei campi di sterminio nazisti. E alla paura del disagio dell’avere le mestruazioni davanti a tutti, all’esposizione, ancora di più, della propria intimità, alla derisione dei propri aguzzini, subentra un’altra paura: essere diventata sterile.
Parlare di ciclo mestruale non è mai facile. Ancora oggi per molti, uomini e donne, è considerato un tabù senza una precisa ragione. Anche se in realtà è qualcosa di molto naturale, che riguarda tutte le donne per un periodo estremamente lungo della loro vita e che ha riguardato tutte le donne da sempre. Eppure crea ancora un certo imbarazzo parlarne, come se fosse qualcosa di sporco, da tenere nascosto. E infatti solo da poco alcuni storici hanno posto l’accento anche su questo aspetto, grazie anche a molte sopravvissute che hanno superato una certa vergogna e hanno raccontato la loro esperienza.
L’argomento, all’inizio, è stato trattato solo da un punto di vista prettamente medico. Col tempo è emersa anche la sua componente sociale e psicologica, ragionando sul fatto che un forte trauma può bloccare un processo naturale e fisiologico del nostro corpo. Racconta la senatrice a vita Liliana Segre che nessuna donna aveva le mestruazioni, per lo shock, per le violenze, per l’alimentazione e forse perché in quella “minestra” che mangiavano giornalmente veniva messo qualche medicinale che le bloccava.
Se, come detto, il 94% delle donne non aveva più le mestruazioni, uno studio condotto nel 2007 ha anche dedotto che solo lo 0,6% ha continuato ad averle per più di quattro mesi dall’incarcerazione e che, una volta libere, solo l’8,9% non ha più riavuto il ciclo.
Per le donne cui il ciclo non si bloccava il disagio di non potersi lavare e cambiare era forte, molte trovarono dei piccoli espedienti per creare degli assorbenti fai da te e altre riuscirono, grazie alle macchie di sangue, non necessariamente le loro (i nazisti non sprecavano tempo a monitorare il ciclo mestruale delle prigioniere), a sottrarsi a esperimenti medici. Grazie ai vestiti sporchi della sorella, una ex deportata racconta di come riuscì a non essere usata per un esperimento che prevedeva l’iniezione di sostanze irritanti nell’utero. Il sanguinamento provocava sentimenti di disgusto e repulsione nei tedeschi tanto da non voler operare donne in quella condizione. E grazie alle mestruazioni, sempre per questo disgusto, molte riuscirono a salvarsi dagli stupri che continuamente si verificarono da parte dei soldati.
Quando ebbi il mio primo ciclo mestruale chiamai mia madre, per nulla spaventata perché già pronta a livello teorico, che mi spiegò cosa dovevo fare. Mio padre mi regalò il mio primo mazzo di fiori e ricevetti varie telefonate dai parenti più stretti che si congratulavano e mi chiedevano come stessi. Io, sinceramente, non capivo tutta quella esaltazione. Il mio primo ciclo è arrivato comodamente una mattina di fine estate, nella comodità di casa mia e di un bagno pulito. Alcune ragazze hanno avuto il loro primo ciclo lontane dalla madre, dalla sorella o dalla nonna, in una baracca di un campo di sterminio, sotto gli occhi di mille estranei e hanno ricevuto aiuto e comprensione da donne conosciute magari da un giorno, forse da un’ora.