(qualche riflessione personale, assolutamente non esaustiva)
Iniziamo con dire che questo tipo domande, riflesse nei titoli di molti giornali, sono fondamentalmente sbagliate.
COP26 non era “l’ultima occasione per salvare il mondo”, ma una tappa importante di un processo negoziale lungo e complesso.
Con questa premessa, cerchiamo di affinare le domande.
Sono stati fatti passi in avanti significativi? SI
Sono sufficienti per essere in linea con quanto indicato dalla scienza? NO
PASSI AVANTI:
È stato finalizzato il “Paris rulebook”, cioè i “decreti attuativi” fondamentali per attuare l’accordo di Parigi firmato nel 2015.
A Glasgow sono state decise:
(i) le regole per la trasparenza sulla rendicontazione delle emissioni, senza le quali non si potranno controllare i progressi svolti dai paesi rispetto a quanto indicato dalla scienza (ciò di cui mi occupo io);
(ii) le regole sul mercato globale della CO2, senza le quali le riduzioni di emissioni rischierebbero di essere contate due volte (ad esempio, da un’azienda che compensa le sue emissioni con un impianto eolico a dal paese dove quell’impianto è collocato).Riduzioni delle emissioni. A Parigi, nel 2015, seguendo le indicazioni della scienza, quasi 200 paesi si sono posti l’obiettivo di ridurre le emissioni per contenere l’aumento di temperatura globale a fine secolo ben al di sotto dei 2C, cercando si stare entro 1.5C. Questi valori sono considerati un “limite di sicurezza” per molti ecosistemi ed attività umane: ci saranno degli impatti, ma a molti di essi ci si potrà adattare.
Nel 2015 eravamo avviati verso circa 3C di aumento, con alta probabilità di effetti disastrosi in molte aree del pianeta. Con gli ulteriori impegni presi dopo il 2015, inclusa un’accelerazione avvenuta a Glasgow, avrete forse notato che i giornali hanno riportato numeri molto diversi: 2.7C, 2.4C, 1.8C, spesso senza spiegarne la differenza. 2.7C è la temperatura che corrisponderebbe alle attuali politiche; 2.4C quella degli impegni già decisi per il 2030; 1.8C quella considerando gli impegni di neutralità climatica annunciati per il 2050-2070. E’ importante capire che questi numeri hanno ampi margini di incertezza (circa +/- 0.6C), perché il sistema climatico è difficilmente prevedibile in tutti i suoi aspetti.
Dato che la temperatura del pianeta segue le leggi della fisica – e non le promesse lontane nel tempo fatte dai politici – i dubbi che tutto questo sia “blah, blah, blah” sono legittimi.
Ma è anche legittimo rispondere che questa è la logica con cui si svolgono gran parte delle azioni umane: prima si definiscono gli obiettivi di lungo periodo, poi le strade concrete per raggiungerli. Sul lungo periodo ci siamo quasi, sulle strade concrete ancora no.
Dato che Glasgow è solo una tappa intermedia di un lungo percorso, personalmente vedo il bicchiere più mezzo pieno che mezzo vuoto.
Piccoli passi indietro dell’ultimo secondo (con l’India che impone un testo più morbido sull’uscita dal carbone) non cambiano questo quadro complessivamente positivo.
Oltre a questo, alla COP26 si è assistito ad una crescente attenzione alla foreste (con promessa di azzerare la deforestazione globale al 2030), alla società civile e ai diritti dei popoli indigeni. Tutte cose positive, per le quali si attendono fatti concreti nei prossimi anni.
COSA RESTA DA FARE
La lista sarebbe davvero troppo lunga e cito solo una cosa: la finanza climatica. I paesi ricchi devono aiutare maggiormente quelli poveri ad intraprendere un sviluppo più pulito e ad adattarsi ai cambiamenti climatici (di cui stanno già subendo le conseguenze pur senza averli causati). A Parigi era stato preso l’impegno di 100 Mld/anno, finora non rispettato pienamente. Poi, ovviamente, occorre realizzare gli impegni presi al 2030 e per molti paesi dare maggiore concretezza a quelli presi al 2050. In altre parole, occorre definire meglio le strade per raggiungere l’obiettivo e soprattutto iniziare a percorrerle.
CONCLUSIONE
Pur con diverse criticità, la COP26 ha rappresentato un buon passo avanti.A mio avviso, sono emersi due grandi vincitori.Il primo è il multilateralismo. Il fatto che gli scenari climatici peggiori siano meno probabili oggi rispetto a pochi anni fa dimostra che i meccanismi dell’accordo di Parigi – volti a stimolare impegni progressivamente più ambiziosi attraverso un dialogo inclusivo – stanno funzionando. Non è ancora sufficiente, occorre accelerare. Ma se nel 2015, a Parigi, mi avessero detto che nel 2021 avremmo avuto gran parte dei paesi con obiettivi di neutralità climatica, avrei stentato a crederci. Il secondo vincitore è la società civile, soprattutto i giovani. L’accordo di Parigi è stato assolutamente storico, ma accordo di élite tra politici, tecnici e scienziati. Realizzare questo accordo richiede scelte economiche e sociali molto difficili. O la sfida climatica diventa pop, discussa e accettata dalla gran parte della popolazione, o la si perde.
Senza i giovani, senza il dibattito e l’enorme pressione che hanno creato in questi anni, di certo non saremmo dove siamo ora.
Tra l’altro, questi due elementi sono necessari l’uno all’altro: senza multilateralismo e inclusività, la società civile non avrebbe spazio. Senza la pressione della società civile, le risposte del multilateralismo sarebbero troppo lente per affrontare la crisi climatica.L’appuntamento, il prossimo anno, sarà in Egitto.
A continuare quello che a mio avviso è il più importante processo di pace in atto nel mondo.
Condivido lo spirito positivo della tua riflessione e il fatto che siano state prese decisioni utili.
Mi sento di criticare il fatto che le decisioni siano “non vincolanti”: che succede se i Paesi non rispettano gli obiettivi che hanno assunto?
Questo credo sia il limite maggiore per poter ritenere queste conclusioni davvero credibili.
Penso che la pressione della società civile dovrà essere ancora più forte sul monitoraggio delle situazioni che si determinano, per contestare gli scostamenti dal rispetto degli obiettivi. Dobbiamo essere noi della società civile quelli che richiedono, o pretendono dai propri politici di riferimento, che l’obiettivo sia davvero impegnativo e rimanga una vera priorità rispetto a situazioni economico sociali critiche (chiusura, con licenziamenti, di aziende fortemente connesse all’uso del fossile come per es. quelle della filiera dell’automobile) che si potranno determinare e che potranno richiedere di sacrificarlo.