di Andreas Massacra

Le Università di Leeds, Edimburgo e Londra hanno condotto uno studio, pubblicato su “The Cryosphere” dal titolo “Earth’s ice imbalance”, pubblicato il 25 gennaio 2021, che ha rivelato, tramite una innovativa analisi satellitare, che dal 1994 al 2017 sono andate perdute 28 trilioni di tonnellate di ghiaccio, con particolare attenzione alle calotte polari in  Groenlandia e in Antartide, alle piattaforme di ghiaccio che galleggiano intorno all’Antartide e al ghiaccio marino alla deriva nell’Artico. In particolare sono andate perdute, nel periodo analizzato, 7,6 trilioni di tonnellate di ghiaccio artico e 6,5 dalle piattaforme antartiche: il 58% riguarda ghiacci boreali e il 42% quelli dell’emisfero australe. Le cause sono molteplici: per il ghiaccio marino artico e per i ghiacciai di montagna la causa principale è l’aumento delle temperature dovuto al surriscaldamento globale; per la calotta glaciale antartica invece è fatale l’aumento delle temperature degli oceani. Per quanto concerne i ghiacci continentali polari di Groenlandia e Antartide, essi soffrono il combinato disposto di entrambi i motivi di cui sopra.
Il fenomeno dello scioglimento dei ghiacci polari è gravido di nefaste conseguenze: innalzamento del mare di circa 35 millimetri (con maggiore rischio di inondazione delle popolazioni costiere, dato che nel 2100 si prevede un innalzamento fino a 98 millimetri), minore assorbimento di CO2 dall’atmosfera,  scomparsa di interi habitat e specie (cosa che spezzerebbe gli equilibri alimentari oceanici) , la minor disponibilità di acqua dolce (questo relativamente ai ghiacciai montani) e non in ultimo  la messa in discussione degli equilibri geopolitici con il riaccendersi di appetiti e ambizioni degli stati che si affacciano sulle regioni polari e non.

Partiamo dal Polo Nord, più precisamente dalla Groenlandia. Nel 2019 Trump ne propose l’acquisto dalla Danimarca. Il motivo è presto detto: la calotta glaciale si sta assottigliando notevolmente al ritmo di 440 miliardi di tonnellate l’anno e dunque l’isola tornerà strategica come base per i commerci mondiali. Scarse nevicate e temperature record degli ultimi anni hanno scoperto dai ghiacci una fetta non trascurabile dell’isola: infatti la neve fresca, che ha latitato negli ultimi 2 anni, non solo rimpolpa i ghiacci ma protegge anche la calotta dallo scioglimento, coprendola con uno strato riflettente il calore. Il governo danese ha rispedito al mittente la proposta del Presidente, suscitando una piccola crisi diplomatica. La mossa dell’amministrazione USA era volta ad utilizzare la nuova disponibilità di terre in Groenlandia, in concomitanza con la riduzione del ghiaccio Artico, come base di approdo commerciale: con il riscaldamento globale si apriranno nuove rotte nell’oceano Artico, trasformando l’area in una zona percorribile con rotte sicure e certe e facendo diventare la Groenlandia un centro nevralgico per i trasporti e i commerci tra Asia, Europa e continente Americano.  Gli USA comunque non sono stati i soli ad interessarsi alla Groenlandia: in primo luogo la Cina ha proposto già 3 anni fa di finanziare la costruzione di porti e aeroporti e stabilimenti minerari (su terre ora sfruttabili); in secondo luogo la Russia, che l’ha di mira per le potenzialità militari e di disponibilità di risorse. La Russia occupa più della metà dello spazio costiero artico e ricava il 10 per cento del suo prodotto interno lordo dalle risorse presenti, dal gas naturale ai minerali. In virtù di ciò l’Artide è concepito come zona di influenza russa. Già perché la Groenlandia è ricca di Terre Rare, che per gli USA sono vitali, per emanciparsi dalla dipendenza cinese, e si stima (Circum Arctic Resource Apprisal , studio del 2008) che il 13%  delle riserve di petrolio, il 30% del gas convenzionale e il 20% di gas liquido ancora inesplorate siano sotto l’oceano artico. Dopo la crisi diplomatica col governo danese, Trump ha cambiato rotta e al posto dell’acquisto ha proposto investimenti per 12 milioni di dollari e l’istituzione di un consolato americano sul suolo del territorio autonomo della Corona Danese. I danesi hanno risposto picche ma il governo groenlandese (di sinistra che ha vinto le elezioni anticipate di aprile 2021), desideroso di maggiore autonomia e indipendenza da Copenhagen, valuta le proposte di Washington. Da Trump a Biden la musica è cambiata solo nella forma: il segretario di stato americano, Antony Blinken, nel maggio di questo anno, da un lato ha archiviato la proposta trumpiana ma dall’altro ha ribadito la volontà di porre in essere una accordo commerciale di libero scambio con la Groenlandia. Controllare il passaggio a Nordest equivarrebbe a porre un muro di rotte commerciali e militari sul GIUK rendendo il blocco occidentale, ammesso che ce ne sia uno, più ancorato agli USA e meno dipendente dai traffici del canale di Suez.
La cosiddetta Eccezionalità Artica che aveva visto questa zona geografica come esempio di cooperazione internazionale multilaterale, sembra dunque alla fine, con il ritorno alle logiche di potenza, proprio grazie al surriscaldamento del clima che  ha ridotto l’estensione e lo spessore della calotta artica.

Veniamo al Polo Sud dove si profila il duello a distanza tra USA e il suo maggior competitor, sempre la Cina. Complice il disgelo, la strategia cinese, con nuovi veicoli e mezzi come il Nanji2, facendo sponda con il Cile a sud, vuole anticipare gli USA nella ricerca e utilizzo delle risorse antartiche. A questa competizione a distanza si aggiungono gli stati del Sudamerica dunque, in particolare Argentina e Cile, che non solo guardano alle risorse ma che, data la vicinanza al continente, lo possono sfruttare  a livello turistico oltre che scientifico (certo da un punto di vista scientifico ci sono molti paesi, Italia compresa, ma la logistica è a favore dei sudamericani). L’Argentina in particolare, rivendica la prima amministrazione di una base nell’Antartico: quella cedutale da William Bruce nel 1904. Cile e Argentina, mettendo da parte una certa rivalità, si sono fatti promotori di un progetto di “Antartide Sudamericana”, un quadrante da Greenwich a 90 gradi ovest, coinvolgendo anche la Spagna, in base al Trattato di Mutua Assistenza Interamericano di Rio del 1947. Per l’Argentina in particolare, la supremazia in Antartide ha anche scopo, oltre che economico e di risorse, di legittimazione politica di quel progetto della “Grande Argentina Tricontinentale” che ha visto nel fiasco delle Falkland la sua più tragicomica manifestazione. Il Cile d’altro canto, come stato più meridionale al mondo, ambisce a controllare, oltre allo lo Stretto di Magellano e al Canale di Beagle, anche il Passaggio di Drake, che collega Pacifico e Atlantico .
L’Antartide è protetto, teoricamente, dal Trattato Antartico del 1959 che impegna i paesi firmatari a rinunciare a pretese territoriali e allo sfruttamento economico o militare delle aree esplorate. Australia, USA e UK hanno annunciato, complice l’epidemia di Covid 19, una riduzione della loro presenza scientifica (che ovviamente ha anche un peso politico, perché con esse controllano anche gli altri operatori/competitor). Oltre a perdere una serie di occasioni di studio, ciò ha lasciato spazio a Russia e, come dicevamo all’inizio del paragrafo alla Cina, la quale, oltre al già citato mezzo anfibio Nanji2, sta approntando una flotta per la pesca industriale del krill, risorsa basale e fondamentale dell’ecosistema oceanico. Prodromi di un sfruttamento minerario ancora vietato? La Russia dal canto suo ha ripreso dopo 20 anni gli studi in Antartide, in particolare studi sismici, per individuare pozzi di petrolio o gas. Con lo scioglimento dei ghiacci continentali sarebbero risorse naturali vantaggiose sul piano geopolitico. Attualmente, il Trattato Antartico proibisce  tale sfruttamento ma è in scadenza nel 2048 e non è mistero per nessuno  che Russia e Cina siano favorevoli ad un allentamento dei divieti, andando così a perpetuare pratiche di sfruttamento in uno degli ecosistemi più delicati, unici e utili (anche pensando solo alla ricerca scientifica) del pianeta.

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