Di Magali Prunai

Era il 14 luglio del 1938 quando “Il Giornale d’Italia” pubblicò il manifesto, firmato da vari scienziati, oggi ricordato come “il manifesto della razza”. Questa pubblicazione anticipava solo di poco la promulgazione delle leggi razziali, quelle secondo le quali chi era di religione ebraica, di razza ebraica si diceva all’epoca, non poteva più frequentare le scuole, iscriversi all’università o esercitare determinati mestieri.

Racconta Elio Toaff, rabbino capo di Roma, che all’epoca era uno studente universitario al quale venne concessa la possibilità di laurearsi perché già iscritto all’università al momento dell’entrata in vigore delle leggi razziali, che appena comunicato alla radio che i medici ebrei non potevano curare pazienti ariani suo fratello, chirurgo, fu interrotto durante un intervento da un collega. Doveva, a suo dire, lasciare l’operazione a metà. Lui la portò a termine, si dimise prima di essere licenziato dall’ospedale ed emigrò in Palestina.

Il manifesto, firmato dai maggiori scienziati italiani dell’epoca, poneva le basi di quella che sarebbe stata la politica ideologica, e non solo, del regime. Nei primi sei articoli si spiegava cosa fosse la razza, che ne esistono di svariati tipi, e che esiste una pura razza, ovviamente ariana, tutta italiana. Dopo i Longobardi, affermavano gli scienziati che evidentemente erano anche storici, nessuna invasione subita dall’Italia è stata tale da poter influenzare le caratteristiche somatiche dell’italiano. Quindi, si affermava al punto 7, gli italiani devono essere razzisti, così da essere in linea con l’operato del regime. All’ottavo punto gli esperti si dicevano preoccupati dalle nuove teorie, tutte scorrette a loro dire, che sostenevano l’esistenza di un’unica razza mediterranea, senza grosse distinzioni fra Occidente, Oriente e Africa. Un’idea che ancora oggi fa tremare le deboli menti di alcuni. Gli ultimi due punti, il 9 e il 10, infine, stabilivano l’inferiorità di chi era di religione ebraica e che già nel loro aspetto fisico, tipico della loro “razza”, era visibile questa inferiorità e diversità.

Come sempre, in Italia ma non solo, la popolazione si divise in tre “partiti”: chi credeva ciecamente in questa ideologia, chi la contrastava apertamente e chi voleva vivere tranquillo, senza prendere posizioni nette e allineandosi alla maggioranza per non rischiare manganelli, purghe e problemi sul lavoro.

Per prendere una posizione sono state necessarie le scarpe di cartone dei nostri soldati in Russia, i bombardamenti che hanno distrutto le nostre città e una sanguinosa guerra di liberazione, una vera e propria guerra civile perché è così che si dice quando a essere in lotta fra loro sono i cittadini di uno stesso Stato.

Ma alla fine quella presa di posizione è arrivata, con la Costituzione della Repubblica italiana, nei suoi Principi Fondamentali, in quegli articoli 2 e 3 manifesto dell’Italia che doveva venire e che stava nascendo. Ancora un Manifesto, sì, ma di libertà, di parità e di eguaglianza: il motto della rivoluzione francese, punto di partenza e di origine delle democrazie moderne, che si ricorda ogni anno il 14 luglio i cui valori, quel 14 luglio del 1938, furono biecamente calpestati.

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