Di Magali Prunai
Nel 1938, quando a Chicago venne alla luce Lynn Petra Alexander, nessuno poteva immaginare che quel giorno si faceva se non la storia della biologia, almeno una parte di essa.
Passata alla storia della biologia col nome del suo secondo marito, Margulis, come era prassi per una donna, soprattutto per una rarità come un’accademica in materie scientifiche a metà del secolo scorso, è nota soprattutto per i suoi studi sulla cellula e sull’evoluzione delle specie sulla Terra.
Il suo studio, ancora oggi ritenuto valido e studiato, riguradante la simbiogenesi, ovvero come in un ambiente di circa 5 miliardi di anni fa ricco di gas si sono sviluppati batteri che, con l’aumentare della presenza di ossigeno, si sono “migliorati” fino a diventare organismi perennemente in simbiosi fino allo sviluppo di cellule con un proprio nucleo dalle quali sarebbero derivati piante, animali e funghi, fu rifiutato da dieci diverse pubblicazioni scientifiche, ritenendolo di scarso interesse e spesso rispedito al mittente con offese non trascrivibili. Uno dei problemi più grandi che la Margulis dovette affrontare fu il fatto di essere donna e, per questa ragione, veniva presa meno sul serio dai colleghi uomini che la ritenevano più adatta alla cura della casa e della prole.
Fra gli scienziati che non solo guardarono con interesse i suoi studi, ma che la coinvolsero nei loro, troviamo James Lovelock (26/07/1919) che formulò quella teoria che prese il nome di “ipotesi Gaia”. Una teoria secondo la quale gli organismi viventi presenti sulla Terra interagiscono fra loro in modo da preservare e tutelare la Terra stessa. Uno studio che potremmo definire padre del moderno ambientalismo.
Nonostante gli ostacoli iniziali, Lynn Margulis proseguì i suoi studi e pubblicò numerosi articoli di divulgazione e ricevette ben 20 lauree honoris causa. Una dimostrazione che la determinazione, l’impegno, le capacità e l’intelligenza vengono premiate, anche se con molta fatica.
Nonostante la bravura che ognuno può avere, l’essere donna in certi ambienti è ancora cosiderato un ostacolo alla carriera. Uno studio del 2019 che prende in esame ben 883 articoli pubblicati da una rivista scientifica tra il 1970 e il 1990 ha evidenziato che gli autori uomini sono il 90% e che le autrici donne, in 30 anni, sono aumentate di neanche l’1%. Negli anni ’70, però, fra i ringraziamenti ai collaboratori troviamo quasi il 60% di nomi femminili, percentuale che scende e si attesta al 43% negli anni successivi. I dati, pubblicati in occasione della giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza, hanno messo in luce che, attualmente, solo il 30% dei ricercatori scientifici è donna. L’ONU, nella sua agenda riguardo lo sviluppo sostenibile, si è fissata fra gli obiettivi da raggiungere entro il 2030 la parità di genere nella scienza. Mancano 9 anni a quella data e troppo poco è stato ancora fatto che difficilmente l’obiettivo sarà raggiunto.