Di Magali Prunai
I cambiamenti climatici non sono solo disastri ambientali o il clima che cambia e impazzisce, ma delle vere e proprie crisi umane che colpiscono indistintamente donne, uomini e bambini. Per questo parlare di cambiamenti climatici e discriminazioni non è azzardato ed eccessivo, come si potrebbe pensare dopo una superficiale e poco attenta analisi. Una conseguenza diretta dei cambiamenti climatici, oltre all’aumento di cataclismi naturali che spesso portano alcune culture a scegliere di salvare i figli maschi perché assicurano una discendenza diretta a differenza delle figlie, influisce negativamente sulla qualità e quantità dell’acqua. Avere poca acqua e insalubre influisce sulla qualità del cibo e sulla fertilità dei terreni. Se acqua e cibo insalubri provocano malattie a uomini e donne senza distinzioni, la donna incinta colpita da qualche parassita, ad esempio, sarà più esposta, rischierà di partorire figli poco sani e sarà ritenuta direttamente responsabile. Inoltre l’assenza di condizioni di vita degne provoca grandi migrazioni e se questi spostamenti sono considerati pericolosi per chiunque, le donne e i bambini sono sicuramente più esposti a certi pericoli.
Pericoli che, arrivati nel paese di destinazione e “parcheggiati” in un campo profughi sicuramente e non necessariamente diminuiscono.
Si è, inoltre, notato come in questi campi le donne facciano più fatica ad attingere ad alcune risorse rispetto agli uomini. Difficoltà che accomuna un po’ tutte le donne del mondo, non a caso sono necessari programmi speciali per favorire l’imprenditoria femminile o per convincere le aziende ad assumere donne, che spesso sono considerate meno produttive perché fanno figli, perché si sposano. Tanto che fra gli obiettivi ONU per il 2030 vi è quello di eliminare il più possibile le differenze fra uomo e donna, visto che la nostra società è ancora maggiormente rivolta e pensata a e per strutture più maschili.
Riuscire a ottenere la parità nello stipendio o vedersi riconosciuto il lavoro casalingo o, altro punto che rientra nell’Agenda per il 2030, raggiungere la parità nella scienza apre la porta a più strade.
Innanzitutto la donna che ha la possibilità di accedere al lavoro, che ha una sua indipendenza o alla quale viene riconosciuto come tale il lavoro di accudimento sarà più motivata a denunciare le violenze subite nelle mura domestiche e non avrà il timore di ritrovarsi sola, senza casa e senza soldi.
Aiutare nel continuare e si spera terminare finalmente il percorso di autodeterminazione delle donne permette anche di aiutare tutte quelle invisibili, dei campi profughi ma non solo, che ogni giorno subiscono violenze, soprusi, abusi.
Riconoscere i meriti lavorativi, i meriti come persona e non solo come donna, dare dignità alla persona in quanto tale è il primo e forse più importante tassello perché un paese possa dirsi civile, avanzato e orientato a un futuro con più uguaglianza. Dove molte di quelle norme sancite più di 70 anni fa dalle Costituzioni di molti paesi, prima fra tutta la nostra, non siano semplicemente lettera morta.
Sulla carta l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e riconosce e promuove il lavoro di ognuno indipendentemente da sesso, religione, orientamento sessuale, gusti politici. Gli uomini e le donne, non si ricorda mai abbastanza che insieme ai padri costituenti abbiamo avuto anche delle madri costituenti, del dopoguerra erano molto più avanti nelle idee di noi più moderni, cresciuti con il desiderio di un mondo ideale che ancora non siamo riusciti a realizzare.
Le violenze sulle donne, ci ricorda Bo Guerreschi, speaker leader dell’ONU e fondatrice di Bon’t worry, associazione che si occupa di dare soluzioni concrete a problemi concreti, non sono solo aggressioni fisiche o di natura sessuale, ma anche psicologiche. Sminuire qualcuno come professionista, come genitore, come cittadino, come essere umano è una discriminazione. Essere convinti che il genere influisca inevitabilmente sulle attitudini e le passioni di una persona (donna solo angelo del focolare, uomo solo tecnico) è una discriminazione. E negli ultimi anni le violenze, anche se rappresentano il numero maggiore, non riguardano solo donne e bambini, ma anche uomini, spesso molto giovani.
Le discriminazioni, nei confronti di chiunque, non si possono e non si devono combattere solo “piangendo” e gridando allo scandalo ogni volta che si verificano. Renderle note è fondamentale, ma poi tutti, dalla politica alla società civile, dobbiamo impegnarci per diminuirle e arginarle.
Ed è questo l’importante lavoro che sta affrontando da alcuni anni in tutta Italia, ma non solo, Bon’t worry. Con più di 700 casi attualmente in assistenza, l’associazione fornisce assistenza economica, giuridica e psicologica.
Le implicazioni psicologiche non sono mai da sottovalutare, né i disagi subiti durante il perpetrare di certe violenze né le umiliazioni che spesso si rischia di subire durante le indagini o il confronto con l’autorità. Infatti l’associazione, oltre ad offrire una casa sicura, un ambiente protetto dove si può far fronte a qualsiasi bisogno, si batte molto perché tutte le persone coinvolte nel processo di aiuto e superamento del trauma abbiano una preparazione ottimale e, soprattutto, siano educate all’empatia.
Per molti anni abbiamo rilegato la sfera dei sentimenti a qualcosa di marginale e che non doveva interferire col mondo del lavoro. Un giudice non deve piangere ogni volta che si trova davanti a una donna che ha subito una violenza, ma deve tentare il più possibile di ricordarsi di avere davanti qualcuno che ha sofferto e che probabilmente sta ancora soffrendo. L’approccio, il modo di porsi, anche solo le parole che si scelgono sono fondamentali.
Ottimo!!!