Di Magali Prunai
“L’unica, l’amata, la senza pari,
la più bella di tutte,
guardala,
è come la stella fulgente
all’inizio di una bella annata.
Lei, che splende di perfezione,
che raggia di pelle,
lei, con gli occhi belli quando guardano,
con le labbra dolci quando parlano
per le quali non c’è discorso superfluo;
lei, che lungo ha il collo,
il petto luminoso,
con una chioma di vero lapislazzuli,
le cui braccia superano (lo splendore) dell’oro,
le cui dita sono come bocci di loto;
lei, che ha pesanti le reni,
strette le anche,
le cui gambe proclamano la bellezza,
il cui passo è pieno di nobiltà
quando posa i suoi piedi sul suolo,
con il suo abbraccio mi prende il cuore.
Essa fa che il collo di tutti gli uomini
si giri per guardarla.
Ognuno ch’essa abbraccia è felice,
si sente il primo degli uomini.
Quando esce dalla sua casa,
si pensa di vedere colei che è unica”.
Traduzione a cura di Edda Bresciani (2007)
Nonostante lo stile evochi subito alla memoria Dante o Petrarca, nonostante il tema, l’amore per una donna e il suo splendore universalmente riconosciuto, sia ricorrente nella letteratura stilnovista, la lirica citata è di molto precedente ai padri della letteratura italiana.
Siamo nel 1291 – 1080 a.C. in Egitto, durante quel periodo che conosciamo come Nuovo Regno o età Ramesside. In quegli anni l’Egitto conobbe un periodo molto fiorente in vari campi, come l’architettura, l’arte e, evidentemente, anche la letteratura. Abbiamo anche scoperto come, in quei secoli, grazie a tre papiri e a numerosi ostraca (frammenti di vasi o altri recipienti), era percepita e si viveva la passione erotica e amorosa. Uno dei primi elementi che saltano subito all’occhio dall’analisi di questi papiri è che il punto di vista della narrazione non era sempre e solo quello maschile, ma anche i sentimenti e le percezioni delle donne venivano prese in considerazione e narrate da uno scriba poeta. In questa lirica, in particolare, ci viene descritta la bellezza e la nobiltà della donna amata, una bellezza enfatizzata e divinizzata da un innamorato che vede nella donna un essere perfetto. La donna è una dea, bellissima, perfetta, che rende felice chiunque la incontri, chiunque sul quale si posi il suo sguardo o che, addirittura, viene abbracciato. Nessuno può resistere al suo fascino, lei è unica ed è inevitabile voltarsi a guardarla al suo passaggio.
Le similitudini con molte opere di Dante saltano subito all’occhio, anche se scritte più di mille anni dopo e che, con tutta probabilità, il Poeta ignorasse l’esistenza delle liriche amorose egizie. Fra il 1292 e il 1295 Dante scrisse il manifesto dello Stil Novo, la “Vita Nova”, una raccolta di liriche divise per capitoli in cui affronta tutte le tematiche tipiche di questa nuova “corrente” letteraria. La tematica centrale, evidentemente nell’aria da mille anni, è sempre quella: l’amore per la donna amata, la sua venerazione e il paragonarla a un essere perfetto, non di questo mondo, che dispensa amore e gioia a chiunque la guardi. Beatrice, la donna amata da Dante, è divina, è “figura Christi”, dispensatrice di grazia in quanto il suo essere donna coincide con la sua stessa natura divina.
Ma se Dante si concentra di più sull’aspetto filosofico e religioso dell’amore, Petrarca è sicuramente più passionale. Nel Canzoniere, scritto fra il 1336 e il 1374, incontriamo Laura, la donna desiderata dal Petrarca, la donna che lo fece innamorare solo grazie a un casuale scambio di sguardi. Mentre ci racconta del loro primo incontro, scritto dopo la morte di Laura, Petrarca dice che lo sguardo della donna lo incatenò a lei per sempre anche se non fu mai corrisposto. Laura non è una figura divina, come Beatrice, ma una donna di carne e sangue e i sentimenti del poeta sono più materiali, come quelli dello scriba egizio.
Insomma, tre poemi molto diversi fra loro, due epoche molto distanti, più di mille anni di differenza, ma alla fine fra ieri e oggi le conclusioni non cambiano. Che l’amore sia cortese o materiale sempre di amore si tratta, in tutte le sue forme e in tutti i suoi aspetti.