Di Magali Prunai

“Avrei bisogno di una pizza, per favore”.

“Una pizza?”

“Una pizza. Ho bisogno di voi!”

“Una pizza? Mi dica dove”.

Una pizza, meglio se Margherita, è la parole in codice per chiedere aiuto se si è vittime di maltrattamenti. E proprio grazie a una pizza, pochi giorni fa, una donna di Milano è riuscita a chiedere aiuto in un momento di “pausa” della furia del compagno che la stava massacrando di botte.

L’operatore del numero unico di emergenza, si sente dalle registrazioni che circolano in rete in questi giorni, dopo un momento di incertezza, ha capito la situazione, mandando subito i soccorsi.

Sempre negli ultimi giorni una donna, per non gravare sul padre anziano e sul figlio, si è pagata il funerale perché già sapeva che sarebbe andata presto all’altro mondo, e non a causa del Covid, ma per colpa di un amore ormai finito e sepolto per lei, ma non per lui. Arrivata la notizia della sua morte in molti si sono chiesti perché non avesse denunciato. Si sa, pur di non ammettere l’esistenza di una piaga devastante si preferisce puntare il dito contro le vittime che contro i carnefici e un sistema di tutela e protezione scarso, se non del tutto inesistente.

Sempre negli ultimi giorni è morta una ragazza per mano di un ex fidanzato, ai domiciliari col permesso di uscire per andare a lavoro. L’abitazione della vittima era di strada e quindi perché non fermarsi ad aspettarla e massacrarla?

Durante l’adolescenza non ho mai apprezzato l’otto marzo come festa, arrivando addirittura ad offendermi quando ricevevo gli auguri, perché consideravo un controsenso fare degli auguri, dare la libera uscita per una cena solo fra donne, regalare magari la graziosa, quanto enorme fonte di allergia, mimosa e poi passare il resto dell’anno a picchiare, uccidere, umiliare, discriminare le donne.

Adesso, che forse non vedo più tutto bianco o tutto nero, trovo che questa data debba essere più che festeggiata usata come spunto di riflessione. Riflessione sulla condizione femminile nel mondo che non si combatte con un fiore o con le serate a tema che venivano organizzate nei locali nell’era pre-Covid.

Un momento in cui non limitarci a ragionare sul perché e il per come meno donne cercano lavoro, rimangono a casa dopo una gravidanza, guadagnano di meno rispetto a un collega uomo meno preparato o di pari merito. Sappiamo già che esitono questi problemi e per quali ragioni sorgono sempre più spesso. Ora è arrivato il momento di compiere quel passetto in più, quello che non si limita a protestare e contestare ma che inizia a trovare soluzioni.

Perché non abbiamo più bisogno, come società, di sole lamentele ma di azioni concrete da parte di tutti. Uomini e donne uniti in quella che non è e non deve essere solo una lotta fra sessi ma per la società.

Perché le discriminazioni, che tutti sappiamo essere quasi impossibili spariscano del tutto, diventino quella rarità che fa notizia quando un tribunale le condanna e le elimina. Perché non si dia più per scontato che sia la donna a dover rinunciare al proprio lavoro in favore della famiglia, riducendosi in molti casi a diventare una colf, non retribuita, senza quell’autonomia economica che spesso fa la differenza, nella sua stessa casa. Perché quella barbara pratica della violenza, fisica e psichica, che molte subiscono senza neanche sapere come uscirne e che si può uscirne, non sia più la notizia di apertura di tutti i giornali quasi ogni giorno.

Oggi compriamo le mimose, dai fiorai e in pasticceria, ma non dimentichiamoci che, come una pizza può salvare una vita, anche le nostre singole azioni possono fare la differenza.

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