Di Magali Prunai

Capita che delle notti non si riesca proprio a dormire e per passare il tempo si faccia zapping frenetico senza soffermarsi mai a vedere nulla. Capita anche che nel mese di Gennaio, quando fra digitale, satellite e varie piattaforme online e la programmazione tutta concentrata su un argomento unico e inevitabile, la propria attenzione venga catturata da uno di quei film che hanno tutte le carte in regola per essere dei “drammoni”.

È così che poche notti fa, sul terzo canale RAI, purtroppo più verso le due della notte che del pomeriggio, ho visto un film del regista Jean Renoir: Questa terra è mia. Per chi non lo ricordasse, Jean Renoir è stato un regista francese molto particolare nello stile e molto amato dai suoi contemporanei. Nel 1943, durante il suo esilio americano, girerà un film altamente retorico e propagandistico, Questa terra è mia, This land is mine, in cui si racconta di un immaginario villaggio da qualche parte in Europa, probabilmente in Francia, occupato dai nazisti.

I protagonisti sono forse un po’ stereotipati: un maestro di mezza età, succube di una madre anziana ed energica che lo tiene in tutti i modi legato a sé mani e piedi, che per paura e quieto vivere sopporta supinamente l’invasione; la giovane e bella maestra, la “pasionaria” della storia, della quale il maestro è innamorato segretamente; il fratello di lei, che va d’amore e d’accordo coi tedeschi quando, in realtà, trama nell’ombra per sabotarli; il preside della scuola, che rappresenta la pericolosità della cultura.

Dopo la morte di due tedeschi viene ordinato di prendere dieci persone del villaggio in ostaggio, se l’assassino non si presenterà spontaneamente i dieci saranno puniti al suo posto. Fra gli ostaggi vi è anche il mansueto maestro. La madre, disperata, tenterà di farsi ricevere da chiunque: dal generale tedesco, dal sindaco e dal sovrintendente. Solo quest’ultimo la ascolterà e accetterà la sua proposta: una vita per una vita. Il maestro per il sabotatore. Tornato in libertà e saputo a quale prezzo, il maestro corre nell’ufficio del sovrintendente meditando di ucciderlo. Ma non è fortunato neanche in questo suo progetto di vendetta perché l’uomo lo anticipa suicidandosi. Trovato davanti al cadavere con in mano la rivoltella verrà arrestato e processato per omicidio. Ed è proprio in tribunale che finalmente l’uomo prende il soppravvento sull’agnello. Accusato di un omicidio passionale, perché entrambi innamorati della stessa donna, pronuncerà un discorso carico di retorica e di amore. “L’amor che move il Sole e l’altre stelle” direbbe Dante. Sì, ma quale amore? Solo ed esclusivamente per la giovane donna che, finalmente, lo guarda con occhi diversi? Anche, ma soprattutto l’amore per la propria terra, per la propria patria. Un lungo monologo, un “mea culpa” individuale e collettivo. Dirà di essere stato tentato dalla proposta del generale tedesco di istruire gli uomini del futuro per la società che la Germania vuole creare, ma il suo orgoglio di persona, di cittadino, di essere umano prevale. Invita tutti i presenti in aula a non dimenticare che sono stati occupati e a quale prezzo si sta girando la testa dall’altra parte.

Assolto dall’accusa di omicidio tornerà a scuola per quella che già sa sarà la sua ultima lezione. I ragazzi si faranno trovare silenziosi, in ordine e disciplinati e ascolteranno in silenzio la lettura dei primi cinque articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Portato via dai soldati tedeschi, passerà il testimone alla giovane collega. Il primo tassello per una generazione, del presente e del futuro, migliore è stato posto.

Chiaramente propagandistico, in Europa il film è arrivato a guerra finita. In Francia, patria di Renoir, fu un fiasco colossale. A settantotto anni dalla sua prima uscita nelle sale è sicuramente un documento fondamentale, da riprendere in mano in orari e momenti più alla portata di tutti perché questa, forse eccessiva, retorica possa dare nuovamente spunti di ragionamento sul mondo dal quale veniamo e verso il quale vogliamo andare.

Loading