di Andreas Massacra

La diminuzione delle aree verdi su scala globale è complice del surriscaldamento globale, delle sempre più frequenti crisi idro-geologiche e dell’aumento locale delle temperature. 

Il problema è talmente reale e grave che tre paesi in forte espansione economica hanno messo in campo programmi di riforestazione massicci del proprio territorio.

Stiamo parlando di Cina, India ed Etiopia. 

Cina
Sicuramente la Cina non è il primo paese che ci viene in mente quando si parla di politiche ambientali ma nel 2016 il governo di Pechino ha dato il via ad una imponente politica di rimboschimento che dovrebbe portare nel 2020 la superficie forestale della Repubblica Popolare al 23%. Nel solo 2018 sono stati piantumati 6,6 milioni di ettari che arrivano a 33 milioni dall’inizio del programma verde. La spesa è ingente perché si parla di 83 miliardi di dollari. Del resto dopo il 1999 (che fu un anno di grandi alluvioni e smottamenti), a Pechino si resero conto che il “Grande Balzo in avanti”, al di là dell’inquinamento atmosferico, aveva anche la sua controparte sul suolo (ad esempio circa due terzi delle falde acquifere analizzate e un terzo delle acque di superficie non erano adatte al contatto con gli esseri umani). Così la Cina inizia il  Grain for Green Program (GFGP) che si è rivelato essere il più ponderoso programma di riforestazione mondiale. Quando Pechino si muove lo fa in grande stile ma quello che ad un primo sguardo sembra essere un successo ambientale tout court, rischia in realtà di essere solamente parziale e non in buona parte.

Nel programma infatti si è deciso di piantumare di volta in volta un’unica specie di albero: bambù, eucalipto, cedro rosso ecc…il risultato è stato un indebolimento ulteriore della biodiversità, già messa duramente alla prova dall’irrazionale espansione economica dei decenni precedenti. I due indicatori usati, come sottolineano in un articolo Fanguyan Hua e David Wilcove della Princeton University, sono gli uccelli e gli insetti. Dallo studio emerge che non solo in proporzione rispetto alle foreste nuove, l’aumento della fauna è stato minore ma che vi è una minor varietà di specie rispetto a foreste miste. La nuova sfida per la Cina sarà quella di correggere il tiro in corsa sostituendo le monoculture con una riforestazione mista e i margini per fare questo senza correre economicamente dei rischi per le popolazioni interessate ci sono tutti. Il rischio infatti è quello di ridurre il patrimonio genetico delle specie e di far nascere ambienti privi dell’equilibrio biologico

India
Passando al secondo gigante asiatico, l’India, si assiste ad un programma varato tre anni fa, che prevede di portare dal 21% al 33% la superficie nazionale ricoperta da foreste. Anche qui si parla di un esborso di 6,3 miliardi di dollari attraverso il Compensatory and Afforestation Bill (Caf). Il ministro dell’ambiente indiano dell’epoca, Prakash Javadekar, fu uno dei più tenaci sponsor dell’iniziativa cui aveva aggiunto l’obiettivo di ridurre del 33/35% le emissioni di anidride carbonica entro il 2030. L’iter parlamentare si è chiuso definitivamente a fine 2016 da allora ad oggi sono stati piantati 120 milioni di alberi in particolare nello stato del Madhya Pradesh, nel cuore dell’India.

Questa politica non è stata indolore per la popolazione, infatti il programma si basa su un meccanismo di compensazione: i soldi per la realizzazione provengono dalle imposte pagate dai privati negli ultimi dodici anni, per impiantare le proprie aziende che evidentemente producono inquinamento. In altre parole il privato paga per l’ecosistema che ha danneggiato e che viene reimpiantato in altre zone. Così facendo però i danni alla popolazione sono di due tipi: da un lato ci sono quelli che ricadono sulle tribù delle foreste erose dal privato; dall’altro però anche le popolazioni che magari da secoli abitano le zone da riforestare (e da riforestare con differenziale positivo rispetto alle perdite) sono costrette ad andarsene dalla loro terra (tenendo conto che la riforestazione sta avvenendo per lo più nelle zone delle comunità rurali). Inoltre molti piani di riforestazione hanno invece investito zone precedentemente considerate di massima biodiversità, le quali sono state convertite in monoculture, specialmente il teak invece che essere attuate su ex zone industriali ora in degrado. Il costo elevato della bonifica ha trattenuto il governo indiano dall’impresa, nel tentativo, un po’ funambolico di tenere insieme vertiginosa espansione economica e mitigazione ambientale.   

Etiopia
L’ultimo paese in ordine di tempo ad aver dato il via ad una imponente riforestazione è l’Etiopia che, malgrado i fortissimi squilibri sociali e la povertà diffusa, ha una crescita annua del Pil che si aggira attorno al 10%. L’Etiopia ha dato il via alla campagna “Green Legacy” piantando 350 milioni di alberi in 12 ore (record mondiale). L’Etiopia è in una situazione ambientale di grandissimo rischio, con solo il 4% del suo territorio ricoperto di foreste (ad inizio secolo era il 30%). L’obiettivo che si pone il governo di Addis Abbeba è quello di piantare entro fine 2019 quattro miliardi di alberi (con un costo di 583 milioni di dollari). Il programma etiope è più interessante, anche se meno massiccio degli altri due sopra, perché si è fatto ricorso a studi approfonditi di agroecologia per avviare colture forestali più resilienti ai cambiamenti climatici.

Così in un anno e mezzo la superficie forestale è già salita al 14,7% ma le piantumazioni sono state differenziate a seconda del tipo di terreno e della sua erosione. La parte più difficile sarà la sostituzione dell’Eucalypto, pianta non autoctona ma che per la crescita rapida forniva legname in tempi brevi e quantità notevoli. L’Eucalypto, diffusissimo, però consuma una notevole quantità di acqua che l’Etiopia non può più permettersi. Del resto il programma di riforestazione dell’Abissinia si è reso necessario dopo le grandi carestie del 206 e del 2017, la seconda delle quali ha decimato gli allevamenti, per cui si è resa necessaria una rivisitazione del settore primario dell’economia.  
Questi tre casi mostrano come la semplice riforestazione non sia sufficiente per una politica ambientale organica, ed è per questo che le nuove piantumazioni devono essere inserite in un quadro più ampio di veduta ecologista, soprattutto nelle aree fortemente urbanizzate. Una non oculata riforestazione rischia di danneggiare ulteriormente ecosistemi ecologicamente già, duramente magari, compromessi.

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