di Magali Prunai

In epoca vittoriana le credenze e le superstizioni di ogni genere regnavano sovrane, soprattutto durante festività varie. Fine anno non faceva eccezione, anzi!

Il 31 dicembre, alla mezzanotte, era prassi suonare le campane per festeggiare la vittoria del bene (il nuovo anno) sul male (l’anno appena trascorso).

E mentre le campane di tutte le città suonavano all’impazzata si aprivano le porte delle case per dare il benvenuto al nuovo anno con grida di giubilo e auguri di ogni genere. Un paradiso per le orecchie più sensibili.

Anche l’abbigliamento, che richiedeva di indossare almeno un capo nuovo, era fondamentale per assicurarsi un anno fortunato. Non sia mai che un signore uscisse in strada a gridare a squarciagola, neanche si trovasse al mercato del pesce, con un panciotto già indossato.

Fondamentale, il primo giorno dell’anno, era il primo ospite a varcare la soglia della propria casa. Se per primo arrivava un amico, uomo, con in dono beni preziosi come dolci, spezie o whisky, allora l’anno sarebbe stato sicuramente ottimo. Un po’ meno se per prima entrava un’amica, pessimo se oltre a essere donna l’amica aveva anche i capelli biondi. Insomma, dopo aver perso la voce in strada urlando tutta notte ed essere rimasti sordi per lo scampanio incessante, si ringraziava di avere ancora una buona vista per incollarsi allo spioncino della porta per controllare il sesso e il colore dei capelli del primo che si recava in visita. Chissà se facevano finta di non esserci o si mettevano d’accordo onde evitare spiacevoli inconvenienti.

Altra usanza singolare, che fa sperare a tutte noi che abbiamo passato l’ennesimo capodanno da single, era quella di invitare nelle ricche case della borghesia tanti amici, soprattutto giovani scapoli per piazzare le figlie in età da marito e ancora non fidanzate. Questi giovani rampolli rimanevano a chiacchierare per non più di un quarto d’ora con le giovani delle casa per poi congedarsi e passare a un altro invito, a un’altra casa e a un’altra signorina nubile. Insomma, chi ha inventato gli “speed-dating” ha solo copiato.

Altra usanza scaramantica era quella di inviare cartoline con maialini e trifoglio, perché simbolo di abbondanza e porta fortuna, soprattutto se accompagnavano piccoli doni come frutta, dolci o soldi. I vittoriani non erano poi così snob da rifiutare denaro in regalo, soprattutto con la scusa che era di buon auspicio. Anzi, era fondamentale iniziare l’anno con qualche moneta nelle proprie tasche come difesa dalla povertà e dalla sfortuna. Se poi la moneta era stata ricevuta in dono, meglio ancora.

Altro gesto propiziatorio era quello di pulire il focolare dalla cenere il 31 dicembre per spazzare via, simbolicamente, tutti i mali dell’anno passato. Non avendo un caminetto in casa penso che per buttarci alle spalle il 2020 vada più che bene pulire casa che, comunque, non guasta mai.

Tipico, non solo a capodanno, era divertirsi con l’arte della divinazione. Ci si prediva il futuro in modo scherzoso interpretando le foglie del tè o con la “bibliomanzia”, ovvero nell’aprire a caso la Bibbia, o un altro libro, e leggere a voce alta un paragrafo a caso. Spesso queste pratiche erano anche accompagnate da giochi di carte e balli in maschera dove era d’obbligo indossare costumi spettrali.

Quindi, ricapitolando, era fondamentale perdere l’udito e la voce la notte di fine anno, indossando un abito nuovo sporco di fuliggine, inviare bigliettini con maialini che si rotolavano nella neve e nel’agrifoglio, possibilmente a giovani scapoli insieme a qualche monetina tintinnante per attirarli per 15 minuti a casa propria per mettere in mostra le figlie sventurate che ancora non si sono sposate. Poi se ci si presentava mascherati, pronti a farsi leggere il futuro leggendo la Bibbia e con una bottiglia di whisky meglio ancora. 

Che abbiate passato la fine dell’anno urlando dalla finestra “addio 2020, benvenuto 2021”, pulendo via la polvere o la cenere, con pochi o tanti soldi in tasca, da soli o in compagnia, l’augurio è quello che il 2021 sia un buon anno, in cui tornare a riabituarsi alla normalità di una volta. 

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