la riscopertà del senso di comunità grazie ascolto attivo oltre la logica del nemico
di Domenico Vito
Lo dico subito così togliamo ogni formalismo.
Il 2020 è stato un anno segnato dal CoronaVirus nel bene e nel male
Il virus ci ha costretti in casa, e ci ha fatto capire il valore delle relazioni negandocele e imponendoci di agire come comunità sinergiche, laddove il ruolo dell’altro, e la reciprocità influenzavano positivamente o negativamente il nostro.
Si pensi agli sforzi legati a evitare i contagi, tramite mascherine e/o distanziamento sociale.
Il virus ci ha anche fatto capire l’impatto positivo o negativo e la reciprocità della nostra specie sulla natura: si pensi soltanto a vedere i cerbiatti in alcune città.
Come per molti, questo periodo di quarantena mi ha permesso di riflettere, studiare e discernere.
E per questo riporto qui riporto alcune riflessioni nella speranza che possano essere utili per una crescita collettiva.
Di sicuro, il fatto che questa pandemia ci abbia fatto capire il ruolo della reciprocità ha aperto sicuramente la mene ad una visione di pensiero sistemico.
Dal pensiero sistemico in risposta alla pandemia, in particolare due elementi si potrebbero cogliere come lesson learned da questo strano 2020 che direi primarie:
- fare rete: ossia creare spazi comuni che permettano di unire le forze sinergicamente verso un obiettivo comune, oltre le differenze grazie alle comunanze.
- Imparare dalle difficoltà: ossia cogliere anche dalle crisi il valore trasformativo
In diversi manuali di comunicazione non violenta spesso è suggerito ai gruppi di attuare l’ascolto attivo e di rimuovere alcune barriere alla comunicazione, che impediscono la comunicazione tra individui e nel gruppo.
Questa rappresentazione è chiamata “caffè sciacallo”:
L’ascolto attivo è stata la grande scoperta di quest’anno, che è stato fondamentale per andare oltre la logica a cui spesso siamo abituati ossia quella che porta alla “visione ed identificazione del nemico”.
Tale visione, in una sintesi, si potrebbe considerare come quella visione per cui una situazione problematica nel mondo o nella propria sfera d’azione si trova spiegata completamente nella responsabilizzazione di una persona o di un gruppo di persone per quella situazione.
Volendo fare una relazione con il pensiero sistemico, si tratta di una semplificazione della complessità del problema (che può avere più cause su cui agire) in un unica causa principe, spesso personificata.
L’attacco anche violento, e soprattutto alla causa e alla persona, determina ipoteticamente la risoluzione del problema: dato che in questa visione la causa è unica e minaccia l’equilibrio del sistema, ogni attacco è lecito per l’eliminazione della radice del problema, che è visto come “alter”, ossia altro rispetto al sistema e a cui bisogna andare CONTRO.
Proprio grazie all’ascolto attivo ad interrogarmi su alcuni elementi rispetto a questa visione, che forse ha radici nel nostro passato novecentesco:
- linguaggio e origini: l’identificazione del nemico pubblico in un gruppo o in una persona è stato a inizio secolo la metodologia con cui diversi totalitarismi hanno guadagnato il consenso. L’identificazione del nemico e la sua vessazione sino a l’annichilimento era l’obiettivo dell’azione politica, al fine di preservare l’integrità e la “purezza” della comunità. Purezza che appunto si basava l’elemento di colpa, l’etichettamento, il giudizio morale. Il fare giustizia era eliminare il nemico per mantenere la purezza.
Come ricordiamo bene le terminologie utilizzate nei primi del novecento sono state terminologie di guerra, a cui i fascismi ci hanno COSTRETTO:: lotta, nemico, traditore, vile, canaglia, ecc…
Nello scenario di questa comunicazione, la propaganda aveva un ruolo essenziale nell’identificare e ribadire incessantemente il nemico ed esaltare la leadership dell’uomo solo al comando come la figura redentrice, salvifica e giusta contro “il nemico” causa principe di tutti i problemi.
Tramite l’identificazione con il nemico chiaramente vi era una totale DERESPONSABILIZZAZIONE del detentore del potere ed un carico totale della “COLPA” al nemico. Quindi “il popolo gregge” veniva completamente escluso dalla dialettica tra NEMICO E SALVATORE, unici degni della scena mediatica e ridotto numericamente ad un bacino del consenso di legittimazione del despota.
Nei regimi chiaramente i dissenzienti venivano esclusi ed epurati, identificati come complici del “nemico” e quindi una potenziale minaccia per la comunità.
Come sappiamo grazie alla resistenza partigiana le ingiustizie e i paradossi totalitari dovuti al fascismo e ai totalitarismi secolarizzati sono stati prima di tutto portati alla luce e poi ribaltati dando vita a una Repubblica.
Grazie all’ascolto attivo ho avuto ancora più coscienza che la risposta alle negazioni delle libertà (tra cui quella di parola) è stato l’anti-fascismo (ossia la resistenza alle forzature fasciste) e la democrazia, ossia la creazione di uno spazio (cfr. Pertini) in cui poter dissentire, ossia avere opinioni differenti rispetto a un unicum più o meno implicitamente imposto.
Se pure con la fine del fascismo e dei totalitarismi l’identificazione del “nemico” spesso ritorna nella storia, sotto diverse forme, come fase iniziale o strutturale dell’affermazione di diversi movimenti.
Basti pensare ai “nemici del popolo” durante gli anni ‘70 ai tempi delle brigate non di solidarietà ma “rosse” o a diverse spinte populiste e sovraniste, che si sono affermate anche e soprattutto in Italia negli ultimi anni.
Basti pensare anche al berlusconismo e al salvinismo nell’identificazione del “migrante o del diverso” come nemico. Oppure alle politiche in America di Trump dove è nemico e tendenzialmente ogni cosa “altro da sé”.
Queste dinamiche sono tipiche di atteggiamenti non “popolari” ma “populistici”
Un po’ come, ritornando all’attualità, ha ben identificato in questi giorni il sindaco di Forte dei Marmi in risposta a Nicola Porro parlando dello schema classico del “populismo” (parlare senza contraddittorio, parlare di cose non si sanno molto, parlare offendendo) [ link al minuto 1.23]
Il linguaggio del nemico a volte sicuramente in modo più attenuato innocente e meno grave si trova nelle forme di “-ismi” : ossia in tutti quei movimenti che in qualche modo nel voler auto-identificarsi fanno prima il processo di identificazione dell’altro da sé per poi arrivare all’identificazione del sé e dei propri valori.
Volendo provare a soppesare pro e contro anche a livello storico, si potrebbe dire che la logica del nemico ha una forte efficacia nel breve termine, ma a lungo termine rappresenta un limite e forte per i gruppi che la praticano.
Alcuni limiti di questa logica sono:
- si basa su forti barriere comunicative [Fig 1.] (che sono spesso protette) per il proprio mantenimento a lungo termine,
- spende molte energie nell’identificazione del nemico e nella giustificazione della sua epurazione, piuttosto che nella comprensione del problema, delle reali cause e dei suoi interventi,
- limita le potenzialità di azione e di dialogo, dividendo la realtà in uno spazio concesso e legittimato che va difeso e in uno spazio nemico e quindi proibito tra i quali deve persistere il conflitto affinchè si sopravviva entrambi: tra i due spazi non è possibile interagire in nessun modo nemmeno per “contaminarlo e provare a renderlo conforme ai propri valori”,
- alla lunga dall’essere utilizzato all’esterno finisce per essere applicata all’interno non appena appaiono situazioni di conflitto interno, frazionando e disgregando il gruppo,si ritorce contro per due motivi: il primo è che espone al rischio di diventare nemici di se stessi (Cflr dinamiche interne), prospera se ci sono continui nemici, quindi possono essere visti potenzialmente “nemici” anche potenziali “alleati” appena questi discostano dall’assoluto di verità di cui si presume essere portatori. Ad essi però è vietata ogni interazione anche in situazioni in cui l’alleanza e la cooperazione sarebbe vincente per entrambi,
Il secondo rende succubi dei propri ruoli di scena: quindi bisogna continuamente alimentare la retorica del nemico, della figura salvifica e del conflitto, affinché non si cada in contraddizione e si smetta di esistere. Per capirci questo meccanismo è quello che alimenta leadership tossiche basate sulla fiducia alla figura salvifica e al gruppo.
Dopo aver fatto grandi discernimenti sulla logica del nemico, l’ascolto attivo mi è venuto ancora una volta in supporto, permettendomi di realizzare che
La comunicazione può risolvere i conflitti e la logica del nemico
Spesso, i conflitti non generativi, ossia degenerativi sono causati, non tanto da questioni di merito, ma da questioni di comunicazione.
La seguente tabella, sempre presa da manuali e siti di comunicazione non violenta (CNV), riassume in maniera schematica una comunicazione che può allontanare (da un gruppo) e quella che (può avvicinare) da un gruppo a confronto dicotomico.
Il MANUALE DELL’ “-ISTA”, significa tutta quella serie di atteggiamenti, che sono presi per soddisfare una “cultura di gruppo più o meno dominante”.
Sono riconducibili a queste comunicazioni tutte quelle asserzioni/azioni per cui “Il buon -ista” fa questo….o quello, oppure “Chi non fa questo non è un movimen -ista” etc..etc…oppure “ questo è -ismo tossico “ e quest’altro è “-ismo concesso”.
Come anticipavo, gli “-ismi” e il “manuale dell’-ista” è un difetto comunicativo, che spesso ricorre nei gruppi che vogliono autoaffermarsi nell’universo di riferimento.
Questo tipo di comunicazione è un retaggio dei totalitarismi per cui l’appartenenza alla Comunità avveniva soltanto tramite l’identificazione totale personificata con i valori guida del gruppo di riferimento.
Questa comunicazione chiaramente:
- annulla il valore intrinseco delle individualità
- annulla le fisiologiche sane e resilienti diversità all’interno del gruppo
Una Comunità che ammette differenti visioni, ammette anche differenti soluzioni possibili ai problemi. Ogni visione nella discussione civile deve avere dignità.
La soluzione a questa dinamica comunicativa – e quindi una risposta alla logica del NEMICO – è il riconoscimento della diversità nel gruppo e una costruzione della comunicazione sugli elementi che uniscono (seppur nella diversità) e non su quelli che dividono.
E proprio la logica della comunità è quella a cui probabilmente il COVID-19 vuole farci tendere.
Ed è proprio la struttura delle comunità che pone nuove sfide su cosa è più o meno necessario o suggeribile per il creare comunità.
Sempre grazie all’ascolto attivo…
Regole condivise
Ogni forma di Comunità può reggersi a lungo termine se stabilisce delle regole condivise.
Le regole condivise non devono essere viste come un freno, una limitazione alla propria azione, ma un supporto e sostegno e un qualcosa che aiuta a dare forma.
Questo vale per i principi di un gruppo di acquisto solidale, le regole democratiche dello Stato, del Comune, ecc…
Alla base deve esserci la fiducia verso la Comunità, ossia l’attitudine del “fino a prova contraria”: ossia l’approccio della regola non deve essere quello di punizione, giustiziabilità, coercizione, ma senza voler scomodare Beccaria – quello di essere una garanzia e di opportunità di coesione sia per la Comunità verso i suoi membri, sia dei suoi membri verso la Comunità. Una forma di condivisione delle responsabilità.
Ad esempio, si pensi ai principi cardine del diritto ambientale del “CHI INQUINA PAGA” o della “GIUSTIZIA CLIMATICA”: questi non sono atti di punizione verso il nemico, né sono “spade” contro il nemico, perché il problema non sono né il nemico, né qualsiasi forma di giustizialismo o gogne di piazza.
Ma, delle forme per esprimere quello che anche nell’Accordo di Parigi viene identificato come responsabilità comuni e differenziate.
Chi ha maggiori responsabilità, deve contribuire alla soluzione del problema comune.
Il problema, ancora una volta, non è la colpa (la caccia al nemico) ma la responsabilità ossia la ricerca della soluzione provando a superare la problematica guardando al futuro.
Una Comunità che non si dà regole e principi condivisi non è sostenibile:
- perchè non ha un sostegno;
- non dà garanzie
- Elude fittiziamente il senso di limite
La concezione di azioni senza limiti (e quindi senza conseguenze e senza responsabilità) probabilmente ha portato alla catastrofe ecologica.
Ed è un concetto che parte dalle Comunità: le Comunità che non si danno un limite “sostenibile” al raggio di azione sono semplicemente distruttive o “estrattive” per i propri territori.
A volte, le regole condivise possono molto più pro-attivamente essere dei principi condivisi.
Ossia dei processi di guida che incanalano e facilitano la convivenza delle Comunità.
Come diceva un grande ecologista Alex Langer, il grosso problema ecologico (della Casa Comune) non è capire chi ha ragione, chi ha torto, punire o giustiziare. E’ convivere nello stesso spazio e tempo, imparare a convivere con il diverso.
Regolamenti interni tuttavia dovrebbero seguire alcuni principi e modus operandi basati su legalità, ascolto e reciprocità.
In sostanza questo 2020 è stato un anno evolutivo.
Se si riesce a cogliere la dualita delle crisi come distruttiva di strutture e mentalità ormai obsolete ma come creatrice di nuovi valori e apprendimento, forse riusciremo ad avere meno astio per questo “Annus Horribilis” e capire che può aprire le porte ad un “Annus Mirabilis”..
..che ci auguriamo tutti possa essere il 2021.
Buon anno a tutti!
ottime riflessioni.
ogni giorno cerco di essere coerente delle mie scelte fatte per percorrere la “Via Naturale della vita in questo pianeta”
il buon senso è il sale di ogni soluzione