di Magali Prunai
“La legge è legge” è un film del 1958 con Totò e Fernandel. Il doganiere francese Fernandel scopre di non essere nato nella parte francese di un bar che si trova a metà fra Francia e Italia. Cacciato dalla polizia doganale francese perché straniero, si ritrova nei guai con la legge italiana perché si è arruolato in un esercito straniero col quale ha addirittura combattuto una guerra. Disperato, profondamente francese nel suo essere, rifiutando la sua nuova nazionalità, scapperà per i monti sparando contro chiunque cerchi di avvicinarsi per trovare una soluzione.
L’unico che ascolterà sarà il suo grande nemico, in reatà l’unica persona leale che troverà, il contrabbandiere Totò, grazie al quale riuscirà a dimostrare di essere nato nella metà francese. Fernandel viene reintegrato al suo posto con tante scuse e ricomincerà a dare la caccia e a correre dietro senza mai riuscire ad arrestare Totò perché, dirà alla fine il noto attore francese, anche se lo ha aiutato in un momento difficile la legge è legge. E va sempre rispettata, aggiungo io.
Una situazione simile si è presentata ultimamente in un comune toscano durante la prima classificazione per colori delle regioni italiane. Un bar si è ritrovato con l’entrata in una regione di un colore e la macchina del caffè in un’altra, di un colore più restrittivo.
Episodio sicuramente divertente ma che mette in luce alcune lacune nell’organizzazione prevista dagli ultimi DPCM che non tengono pienamente conto delle particolarità territoriali. In una regione gialla ci si può muovere su tutto il suo territorio, andando anche da un estremo a un altro, ma se si abita in un comune di confine, separato dal primo centro abitato della regione confinante solo da un marciapiede non ci si può andare. Penserate che i confini, anche se ormai solo virtuali, servono proprio a questo. Ma si dovrebbe tenere conto di come la vita degli abitanti di un luogo si riversi facilmente su quelo più vicino.
Un esempio pratico sono i comuni limitrofi alla città di Milano, separati dal comune più grande solo da un palo con un cartello che indica il nome del luogo. Chi abita, ad esempio, a Corsico neanche percepisce di non trovarsi dentro la città di Milano e non è poi così inusuale che una famiglia residente a Corsico abbia quei famosi parenti che, almeno in teoria, si possono incontrare a Natale in sicurezza nel capoluogo.
Perché in teoria? Perché quello che passerà alla storia come il DPCM di Natale vieta a partire del 21 dicembre di uscire dal proprio comune. Il divieto è esteso per tutto il periodo delle feste, Epifania compresa.
E se il 2021 sarà il primo anno a non iniziare con la conta delle dita perse per i botti di capodanno, visto il coprifuoco dalle 22 alle 7 del mattino del primo gennaio, l’anno inizierà esattamente come finirà il 2020: con la triste conta di nuovi positivi e morti per Covid. E ciononostante gli italiani si pongono il problema delle piste da sci chiuse e del non poter andare nei comuni limitrofi per due settimane.
Se la prima questione, quella relativa allo sci, con 900 morti al giorno non merita neanche di essere presa in considerazione, la seconda qualche problema è inevitabile che lo ponga.
Come già accennato poco fa, il DPCM di Natale non ha tenuto conto delle peculiarità del territorio italiano. Tralasciando l’esempio di Milano e Corsico, nelle nostre montagne, campagne o qualsiasi piccola realtà, la maggioranza in Italia, spesso non vi è neanche una interruzione nelle costruzioni e si intuisce il cambio di comune solo da un cartello lungo la strada.
E non è poi così anomalo che attività di ogni giorno, come la spesa, si facciano nel comune accanto.
Chi ha sollevato in particolare il problema è stata la città di Gorizia, separata dalla slovena Nova Gorica da una linea virtuale. Il divieto di uscire dal territorio di Gorizia, in una situazione nella quale veramente basta attraversare la strada per ritrovarsi addirittura fuori dall’Italia, mette in seria difficoltà famiglie e abitudini.
Anche se delle modifiche in tal senso sono al vaglio del Parlamento, nonostante il parere contrario del ministro della sanità, è balzato subito all’occhio come le “regole di Natale” ricordino quando, dopo la guerra, il confine a est dell’Italia fu sancito in pratica con una squadra e una matita. Si scherzava dicendo che nelle case, divise a metà fra una Nazione e un’altra, era necessario il passaporto per spostarsi dalla camera da letto alla cucina.
Squadra o non squadra furono necessari circa 20 anni e un trattato, il Trattao di Osimo firmato nel 1975, per trovare il confine esatto, rispettoso di tutte le realtà locali, fra il Territorio Libero di Trieste e l’allora Jugoslavia.
Speriamo che per risolvere questa spiacevole situazione e trovare un modo per mediare fra esigenze sanitarie ed esigenze della cittadinanza non sia necessario né un trattato di Pace né 20 anni di trattative.