di Magali Prunai

Nella recente Docufiction Rai su Rita Levi Montalcini si fa notare come una donna, in un certo periodo storico, male concilliava carriera e famiglia. La Montalcini, classe 1909, senza alcun desiderio di mettersi in casa a fare figli e cucinare, sfidò le convenzioni dell’epoca e di un mondo ben pensante tipico di quegli anni, e preferì continuare gli studi. A lei non pesò non avere una sua famiglia, ma ciononostante riteneva impossibile per una donna che ricerca e famiglia andassero di pari passo. Convinzione che, stando alla docufiction, non crollò minimamente neanche quando, poco dopo aver preso il Nobel nel 1986, scoprì che le sue collaboratrici erano tutte madri separate. Sembra che commentò con un “andrà meglio alla prossima generazione, voi avete già fatto dei passi avanti rispetto a me”.

Ma veramente abbiamo fatto dei passi avanti? La mia generazione dovrebbe aver trovato ormai il sistema ottimale per far convivere vita privata e vita lavorativa. E invece la situazione sembra peggiorare ogni giorno.

Le famose lettere di dimissioni in bianco, la non parità di stipendio a parità di incarico con un collega uomo, l’essere prese poco sul serio in qualsiasi ambiente, non solo lavorativo, essere considerate isteriche ogni volta che si lamenta un malanno o, peggio ancora, non essere credute. Non essere credute quando stiamo male, non essere credute quando qualcuno ci fa del male. Del resto è convinzione abbastanza diffusa che una donna che subisce una qualsiasi forma di violenza, fisica o psichica, se la sia andata a cercare attraverso comportamenti equivoci o incoraggianti.

Recentemente delle ricercatrici donne hanno ricevuto il premio Nobel per la chimica e giornali e opinione pubblica hanno discusso non tanto sui loro meriti scientifici, ma sul loro essere donne, parlando soprattutto del loro rapporto di amiche, madri, donne di famiglia invece che porre l’accento solo sulle loro scoperte.

Abbiamo chiamato due scienziate la Thelma e Louise del DNA, anziché interessarci alla loro scoperta. Viene quasi da pensare che giornali e giornalisti esperti in materia in realtà difettassero, almeno parzialmente, nella comprensione dell’argomento studiato da Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier e che, quindi, cercassero di sviare l’attenzione.

Le polemiche, ovviamente, non si sono fatte attendere troppo e l’opinione pubblica si è schierata su due diversi fronti: chi ha condannato questo linguaggio poco professionale trovandovi una precisa volontà nello screditare il lavoro di due donne, senza minimamente porre l’accento sul fatto che hanno trovato un modo per modificare il DNA; e chi non crede sia offensivo paragonarle alle due protagoniste represse ed esaltate di un vecchio film del 1991.

Ma, come al solito, altre notizie hanno spazzato via la débâcle senza mai finire veramente la questione.

Nuove indignazioni hanno preso il sopravvento nel dibattito pubblico, come quelle che hanno portato alla sospensione di un programma di intrattenimento pomeridiano di Rai2, nel quale si voleva spiegare come trovare un fidanzato o un marito al supermercato con una spesa sexy, indossando scomodissime e altrettanto altissime scarpe con tacco alto e abbigliamento succinto.

Che fine hanno fatto le lotte per l’eguaglianza, per l’indipendenza, per la parità? Affossate, se non completamente, in gran parte dall’idea che chiedere di essere trattate alla pari sia un retaggio di veterofemminismo e non una richiesta legittima.

Cara Rita Levi Montalcini, lei è stata una pioniera in un periodo in cui si faceva la storia. Noi ci siamo impigrite, adagiandoci su diritti che pensavamo scontati e neanche ci siamo accorte che man mano abbiamo perso o messo in dubbio.

Loading

Di admin