Manifesto climatico latinoamericano: traduzione italiana

In questo periodo di quarantena la redazione di HubZine ha approfittato per tradurre un documento di grande importanza. Il “Manifesto Climatico Latinoamericano”. Durante la COP25 abbiamo intervistato anche Felipe Pino, coordinatore del processo di stesura partecipata del manifesto. Di seguito introduzione e traduzione. In allegato il testo originale (Articolo originale qui)

Lunedì 9 dicembre 2019 durante la “Cumbre Social por el Clima”. La Società civile per l’accordo climatico (SCAC) lancia il “Manifiesto Latinoamericano por el Clima”, presenta il documento in cui la società civile pone un un atto per la costruzione di una visione del mondo.

L’elaborazione del documento viene pubblicata ed viene tramite un processo di partecipazione presenziale e online.

Centinaia di persone e organizzazioni hanno partecipato alla stesura

Il documento è stato pubblicato diviso in 9 assi, che sono acqua, donne, ,natura, transizione energetica, diritti umani, popolazioni indigene, giustizia climatica, governance climatica, sviluppo tra gli altri. Prima della traduzione un commento di, Felipe Pino, incaricato di coordinare il documento: “sappiamo che le decisioni devono essere prese nei territori e non nei banchi, diciamo forte e chiaro: mai più senza di noi. Come società civile abbiamo da un lato il dovere e la responsabilità di partecipare alla costruzione del mondo in cui vogliamo vivere e, dall’altro, il diritto di essere ascoltati e considerati in tutti i casi formali e informali esistenti, anche se questi vengono trasferiti fuori dal nostro continente

MANIFESTO CLIMATICO LATINO AMERICANO

TESTO ORIGINALE

www.porlaaccioncimatica.cl

Per quanto riguarda il completamento della venticinquesima versione della Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dal vertice sociale per l’azione climatica osserviamo che la maggior parte degli Stati Parte, così come il governo del Cile nella sua qualità di presidenza dell’attuale COP 25 non ha dichiarato una reale disponibilità ad ascoltare e considerare le voci della società civile sull’agenda globale per il clima. Inoltre, l’indifferenza dei decisori a fronte delle richieste socio-ambientali e climatiche ha avuto in risposta le enormi mobilitazioni in tutto il mondo che richiedono profonde riforme sociali, tra le quali la richieste di giustizia ambientale ha assunto un ruolo guida, a causa della diretta relazione con la necessità di un cambiamento radicale nel modello di sviluppo prevalente.

Come società civile per l’azione per il clima, piattaforma di organizzazioni in una regione che storicamente è stato violata dalle politiche estrattiste occidentali, affermiamo che non sarà possibile pensare a una politica climatica ambiziosa e trasformativa senza integrare nella sua creazione ed esecuzione le voci di tutti coloro che abitano questo pianeta, con particolare attenzione alle persone colpite quotidianamente nei loro territori a causa delle conseguenze della crisi climatica; dei popoli nativi, indigeni, tribali e afrodescenti, che portano nella loro storia conoscenze preziose e; dei giovan* (bambin* e adolescenti) che devono sopportare le decisioni del
agenti politici del presente, molti dei quali rifiutano ancora di ascoltare la scienza, e che non sono stati in grado di prendere le misure che il Gruppo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) suggeriva.

La decisione unilaterale del governo del Cile di sospendere la COP 25 e trasferirla in Spagna, è solo un altro esempio dell’atteggiamento sprezzante con cui i decisori hanno avvicinato la società civile negli ultimi decenni, una logica che abbiamo visto ripetuta in tutta l’America Latina e nei Caraibi nell’approvazione di politiche e progetti che minacciano il futuro dei nostri ecosistemi e territori. Ora, la COP che ha promesso essere una nuova opportunità per sottolineare le urgenti esigenze climatiche della nostra regione corre il rischio di perdere il suo spirito latinoamericano e di vedere alterati i suoi negoziati, privilegiando il comfort dei principali stakeholder all’aumento temperature globali.

Casi come incendi boschivi in ​​Amazzonia e Chiquitania; l’estrazione eccessiva litio nei territori di Bolivia e Cile; il crescente fracking in Argentina; la precarizzazione e violazione trasversale dei diritti sovrani dei nostri popoli nativi; e la progressiva privatizzazione della nostra proprietà comune, la morte di centinaia di difensori e difensori della Madre Terra da parte di compagnie criminali; sono casi che, sebbene affliggono la nostra regione da anni, il sistema prevalente consolida e legittima a livelli semplicemente insostenibili.

Perché siamo sicuri che le decisioni debbano essere prese nei territori e non nelle scrivanie, diciamo forte e chiaro: mai più senza di noi. Come società civile americana

Latina abbiamo il diritto di partecipare al processo decisionale per quanto riguarda le questioni che riguardano la nostra capacità di avere una vita dignitosa, anche se gli organi istituzionali di deliberazione vengono trasferiti fuori dal nostro continente. In un momento di grande effervescenza sociale per la nostra regione, esprimiamo in questo documento alcuni problemi che, dal vertice sociale per l’azione per il clima, crediamo debbano guidare lo spirito di negoziati, e sottolineiamo la necessità di azioni organizzate per il clima dal territori del Sud globale che affrontano la crisi climatica ed ecologica.

I. ACQUA

L’acqua è la componente fondamentale per qualsiasi forma di vita sul pianeta, sia essa animale, pianta, microbico o ecosistema. In un contesto di crisi climatica globale e carenza idrica regionale, è indispensabile e urgente dare priorità all’utilizzo dell’acqua per la protezione della vita e degli ecosistemi, nonché verso il consumo umano, con particolare attenzione a
comunità contadine, al di sopra di qualsiasi altro tipo di attività economica, garantendo una distribuzione secondo criteri democratici e una qualità ottimale secondo il suo utilizzo. Allo stesso modo, la cura e il recupero dei suoli e delle foreste devastate dallo sfruttamento eccessivo e la desertificazione sono una condizione necessaria per garantire la fornitura
del cibo, la circolazione dell’acqua e la riduzione dei gas serra.

Casi paradigmatici come quello in Cile, nel quale, attraverso una dittatura militare, è stato stabilito un mercato dell’acqua, non conoscono l’importanza di questo elemento vitale per ecosistemi e l’importanza del loro accesso come diritto umano. Questa e altre situazioni di mercificazione di beni comuni, richiedono cambiamenti profondi e strutturali nelle norme costituzionali e legali della nostra regione, oltre al rafforzamento della partecipazione effettiva di comunità, città e territori alla gestione, distribuzione e risanamento di questo elemento. Allo stesso modo, è urgente che i nostri governi garantiscono una protezione immediata a tutte le riserve di acqua dolce tra cui falde acquifere, ghiacciai e zone umide.

II. NATURA

Ogni sistema vivente richiede uno scambio essenziale e dinamico con l’ambiente in cui vive. e le parti che lo compongono. Queste relazioni ecosistemiche sono dipendenti in dimensioni del tutto incomprensibili per l’umanità nella loro totalità, eppure siamo riusciti a influenzare processi significativamente biofisici su scala planetaria, minacciando la manutenzione delle condizioni minime che consentono la vita sulla Terra. La sfida che ci viene imposta o dalla crisi climatica non può essere limitata esclusivamente alla riduzione delle nostre emissioni, deve comportare la costruzione di una nuova relazione con la Madre Terra, che pone al centro il pieno rispetto di tutta la vita come principio fondante dei nostri popoli, culture e territori.

La decolonizzazione della nostra relazione con Pachamama inizia con la comprensione di ciò la biodiversità del nostro pianeta, incluso noi, richiede protezione dagli elementi che non abbiamo considerato vivo fino ad ora, ma che sono essenziali per lo sviluppo la vita, comprendendo che il trascendente della sua protezione deve andare oltre la sua eventuale utilità per l’umanità. In questo senso, è necessario che gli Stati, in particolare in America Latina e nei Caraibi, definire quadri normativi per la protezione degli ecosistemi al di sopra degli interessi mercantili del capitalismo globale, con particolare attenzione a quelli considerati di rilevanza internazionale come l’Amazzonia, il sistema altoandino e la criosfera.

III. TRANSIZIONE ENERGETICA

Il benessere di Madre Terra e dei suoi beni comuni è messo in discussione come prodotto di un modello di generazione di energia basato sui combustibili fossili, imposto per l’Europa dalla rivoluzione industriale. Questo modello ha portato con sé una contaminazione sistematica dei nostri territori, ed è la principale causa dell’aumento della temperatura
globale che mette a rischio il mantenimento degli ecosistemi.

Noi popoli dell’America Latina siamo eredi di una lunga storia di sfruttamento, che in materia energetica è si esprime in sistemi di generazione e distribuzione commerciali, non democratici e distruttivi.

È indispensabile cambiare il nostro attuale paradigma energetico, per uno che riconosce il valore dei nostri territori come serbatoio della vita planetaria. Detto questo, è necessario che gli attori pubblici e privati ​​responsabili della crisi climatica (i cui protagonisti arrivano del Nord globale) iniziano il più presto possibile un loro processo di trasformazione
matrice energetica, insieme a un profondo cambiamento culturale nelle loro abitudini di consumo e produzione energia, garantendo un’equa transizione dal punto di vista ambientale, sociale ed economico. Per raggiungere l’autonomia energetica necessaria per l’autodeterminazione
dei nostri territori, chiediamo la chiusura di centrali elettriche a base di carburanti fossili entro il 2030, il congelamento immediato delle emissioni di gas a effetto serra e investire nello sviluppo di NCRE con una base decentralizzata e un’enfasi sull’efficienza energia.

IV. NUOVO MODELLO DI SVILUPPO

La profondità dell’emergenza climatica e la crisi ecologica, causata dal modello di sviluppo imposto violentemente dal capitalismo globale, ci costringe a mettere in discussione le sue basi.
La ricerca di una crescita economica sostenuta ci tiene al limite delle possibilità di sostenere la vita e causare disparità sociali insostenibili.

Lo sviluppo dei paesi del Nord del mondo si è consolidato attraverso un processo di industrializzazione schiacciante, basato sulla colonizzazione e sull’estrattivismo nei territori dell’America Latina e i Caraibi, stabilendo un modello neoliberista che consente l’accumulazione di capitale, da sola
parte di alcuni, attraverso l’abuso, l’usurpazione e lo sfruttamento di ecosistemi, territori e le persone.

Per garantire la vita dignitosa di tutti gli esseri viventi, è necessario ridefinire le strutture, i quadri giuridici economici e istituzionali, che limitano le trasformazioni radicali che richiedono il mantenimento della vita sul pianeta, consacrandone un nuovo paradigma che combina la giustizia sociale con l’integrità ecologica. Nello specifico, è urgente trasformare radicalmente i nostri modelli di produzione e consumo e riconfigurare l’economia verso la solidarietà, gli spazi locali e diversi.

A tal fine, chiediamo che i poteri si impegnano istituzioni economiche, comprese istituzioni come il FMI e la Banca mondiale eliminare immediatamente la sovvenzione da società e progetti inquinanti;
la de-mercificazione da parte di tutti gli Stati di proprietà comune e; il
ridistribuzione delle risorse e ristrutturazione del sistema finanziario che prioritizzi la protezione degli ecosistemi e tutte le forme di vita.

V. DONNE E GENERE

Il patriarcato capitalista si basa non solo sullo sfruttamento della natura, ma anche in una struttura eteronormativa che storicamente ha generato violenza e svantaggi strutturali contro donne, ragazze e dissenso sessuale. La crisi ecologica e climatica accentua le lacune economiche, sociali e politiche che derivano questo modello.

Di fronte a queste lacune e violenze, le donne si sono organizzate ovunque
La nostra regione ha svolto un ruolo attivo e mobilitante nella salvaguardia e nella difesa di enti, comunità e territori, sfidando l’attuale modello di sviluppo e implementare sistemi alternativi che combinano lo sviluppo della comunità con la protezione ambientale.

Affrontare la crisi climatica dal punto di vista del genere non richiede solo l’adozione di misure che si occupano degli impatti differenziati dell’attuale modello sulle donne, uomini e dissidenti sessuali. Dal punto di vista femminista e latinoamericano, è urgente andare verso l’eradicazione di tutte le forme di violenza e discriminazione contro le donne e i dissidenti sessuali; ridurre le lacune economiche e sociali e politiche legate al modello patriarcale; promuovere nuove mascolinità; la visibilità e valutazione dei compiti riproduttivi e di cura come compiti che rientrano all’interno
a tutti i membri della società; e la visibilità degli attori politici e sociali
che le donne esercitano sia nel promuovere alternative al modello attuale, sia nel difendere i loro territori.

VI. COMUNITA’ ORIGINARIE, INDIGENE, ETNICHE E TRIBALI E AFRO-DISCENDENTI

Le popolazioni originarie e indigene sono una parte fondamentale dell’identità culturale meticcia che condividiamo come America Latina, oltre ad essere difensori ambientali dei nostri territori dall’arrivo dell’estrattivismo nel nostro continente. Dai tempi coloniali, questi popoli hanno sopportato disparità che li hanno esclusi dai governi che hanno amministrano i territori e i beni comuni, essendo uno dei gruppi sociopolitici più poveri, ingiustamente criminalizzati e sistematicamente
violata. Nonostante il fatto che questi popoli abbiano dimostrato una resistenza esemplare di fronte alle dinamiche della violenza e dello sfruttamento, la crisi climatica conferma e approfondisce le loro ingiustizie. Altrimenti, c’è una sottomissione permanente a livelli aumentati di conflitto socio-ambientale, solo perché vivono in regioni geografiche molto richieste da progetti di investimento estrattivi.

Porre fine all’esclusione politica e sociale e alla costante violazione del loro stato di legge; è necessario consolidare una volta per tutte il diritto all’autonomia, previa la loro consultazione il loro consenso vincolante e gratuito, preventivo e informato. Per questo, è necessario spostarsi verso
una multinazionalità focalizzata sul multiculturalismo, accompagnata dal riconoscimento espresso nella legislazione nazionale e internazionale, unitamente alla sua integrazione definitiva su questioni di governance climatica, produzione di conoscenza e decisioni gestione e cura dell’ecosistema. D’altra parte, chiediamo la fine dell’abbandono e
negligenza degli Stati in merito al saccheggio e alla distruzione dei loro territori, come ad esempio visse in Amazzonia e Chiquitania. In questo senso, è necessario creare quadri legali che consentano agli attori responsabili di essere ritenuti responsabili di tali omissioni.

VII. DIRITTI UMANI E CAMBIAMENTI CLIMATICI

Il preambolo dell’accordo di Parigi ricorda agli Stati parti il ​​dovere di prendere in considerazione il loro obbligo di rispettare e proteggere i diritti umani, anche quando devono attuare azioni o misure per affrontare i cambiamenti climatici. Considerare gli impatti che l’estrattivismo ha causato nelle nostre comunità e territori, implica la comprensione
che la crisi climatica produce e aggrava violazioni dirette dei nostri diritti
fondamentali. Queste affezioni sono aggravate a causa delle disuguaglianze brutali che supportano i gruppi più vulnerabili nella nostra regione, in particolare le nostre popolazioni indigene, comunità locali, migranti, donne, bambini e giovani, persone in situazione di disabilità e abitanti dei “confini climatici”. I quadri giuridici internazionali e gli impegni assunti dai governi nazionali hanno dimostrato di essere insufficienti per risolvere questa situazione.

Al fine di garantire il pieno rispetto dei diritti umani, chiediamo alla comunità internazionale la necessità di riconoscere espressamente le violazioni dei diritti fondamentali prodotti dell’esacerbazione della crisi climatica, nei casi e nei documenti negoziazione formale. Allo stesso modo, chiediamo che tutti gli Stati che prendono parte ai negoziati di adottare misure urgenti per limitare le violazioni specifiche prodotte dell’emergenza climatica ed ecologica, come lo sfollamento forzato di persone, la mancanza di sicurezza idrica e alimentare, criminalizzazione e repressione delle proteste sociali. Infine, richiediamo la firma e il riconoscimento nella legislazione nazionale dell’accordo di Escazú, al fine di garantire che le misure e i piani per far fronte gli effetti del cambiamento climatico sono inclusivi, partecipativi e non generano nuovi effetti ai diritti umani.

VIII. GIUSTIZIA CLIMATICA

La giustizia climatica implica l’espansione del classico concetto di giustizia ambientale nei confronti del riconoscimento e la corretta distribuzione delle responsabilità differenziate nel riscaldamento globale, la riparazione di perdite e danni causati da fenomeni associati, e la distribuzione equa ed giusta degli oneri e dei benefici ambientali tra i diversi territori e generazioni. Inoltre, implica il sostegno di meccanismi di partecipazione efficaci per le comunità che hanno subito discriminazioni differenziate nel processo decisionale sul loro ambiente. L’integrazione di questo concetto in tutte le politiche climatiche nazionale e internazionale, è una condizione necessaria per un’efficace mitigazione e adattamento dei popoli della regione e, in definitiva, garanzia di una vita dignitosa e sviluppo sostenibile per tutti i territori dell’America Latina.

Questa giustizia può essere solo come i costi che la sua attuazione implica
finanziato da Stati che si sono arricchiti proprio attraverso l’abuso e l’impoverimento dal sud globale. D’altra parte, sarà necessario integrare le visioni multiple, culture e forme di affettività, che devono essere garantite attraverso meccanismi efficaci di partecipazione vincolante dei cittadini, compresi i giovani, e considerazione la consultazione e consenso libero, preventivo e informato delle popolazioni originarie e indigene,
tribali e afrodiscenti. Per soddisfare questi standard, sarà necessario promuovere programmi politici per l’educazione ambientale e l’educazione civica, al fine di consentire alla comunità di rafforzare le loro organizzazioni, affinare il loro tessuto sociale e, in definitiva,
muoversi verso un cambio di paradigma costruito collettivamente e informato.

IX. GOVERNANCE CLIMATICA

Di fronte al contesto attuale dei nostri governi regionali, che non hanno avuto disponibilità a stabilire condizioni e regolamenti minimi per garantire il rispetto della Madre Terra, diritti umani e, in particolare, il diritto di vivere in un ambiente sano; diventa indispensabile costruire una governance del clima inclusiva e partecipativa, comprendere che gli effetti della crisi vanno oltre gli aspetti tecnici e / o scientifici che possono essere previsti o analizzati. Pertanto, è necessario spostarsi verso una maggiore
democrazia ambientale per la definizione, legittima e decentralizzata, di obiettivi e strategie che ci consentono di affrontare la crisi climatica con maggiore resilienza.

Con la consapevolezza che il principale ostacolo è stata la mancanza di volontà politica, chiediamo a governi e organizzazioni internazionali garanzie immediate per garantire l ‘ accesso alle informazioni, che può comportare la partecipazione di più attori, consentendo quindi la trasformazione collettiva della società nel suo insieme. Solo attraverso un processo di partecipazione ampia, efficace e vincolante, in cui le politiche climatiche sono generate congiuntamente e collaborativamente tra i territori e le istituzioni, si potrà integrare un approccio veramente preventivo e precauzionale nell’approvazione dei progetti che generano rischi o impatti climatici, aggiunti a finanziamenti adeguati e trasparenti per il raggiungimento di piani e impegni di mitigazione e adattamento

LA CRISI SOCIALE E’ ANCHE CRISI ECOLOGICA

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