di Andreas Massacra
Il tema della Libertà del nostro volere è sempre stato uno dei temi caldi della filosofia occidentale: Nicola d’Autrecourt la pose in dubbio nel medioevo, Lutero e Calvino resero servo l’arbitrio con la Riforma.

Nel XVII secolo i grandi sistemi di Hobbes e Spinoza spostarono l’accento da Dio al mondo (in diverse declinazioni) e nel secolo successivo troviamo i sistemi materialisti dell’illuminismo che negano decisamente la libertà a partire dall’assunto materialista: d’Holbach, Helvetius, Diderot ma soprattutto La Mettrie con il suo amoralismo e il marchese di Sade per il quale si può parlare di immoralismo. Questi filosofi partivano da un assunto ontologico, quello materialista (limitato dalle conoscenze scientifiche del tempo) e il grande critico dell’illuminismo e della sistematica in generale, Immanuel Kant non poteva non porsi il problema del libero arbitrio così come esso era (ed è probabilmente tuttora) connesso al problema gnoseologico e metafisico.
E anche lui che materialista non era di certo e che ha elaborato la morale formale più famosa di tutti i tempi, non poté che offrire solo una debole scappatoia alla libertà. Kant considerava ogni oggetto sotto due lati, quello fenomenico e quello noumenico. Il fenomeno è l’oggetto che ci appare, l’oggetto di conoscenza secondo le forme a priori che si attivano contemporaneamente al loro entrare in contatto coi dati sensibili. Si ha così quella che Kant chiama sintesi a priori, appunto sintesi tra dati sensibili e forme a priori che permette la conoscenza dell’oggetto fenomenico.
Il noumeno è invece l’oggetto in sé che non può essere conosciuto ma che è necessario che esista come presupposto pensabile del fenomeno (altrimenti il fenomeno sarebbe una illusione).
Ogni oggetto ha questa ripartizione, compreso l’Io. L’Io di cui facciamo esperienza e che possiamo conoscere come dato sensibile secondo forme a priori è l’Io fenomenico. Ed essendo un fenomeno, quindi un oggetto naturale, questo Io è governato dalla necessità; ma esiste anche l’altro Io, quello noumenico che trascende il piano della natura, sta fuori dalla necessità della natura ed è pertanto un “pensabile” che non può essere pensato se non come libero.
E’ dunque l’Io intelligibile il solo che può scegliere tra bene e male, il solo che può assumere come principio dell’agire la legge morale universale del dovere per il dovere (legge razionale per eccellenza secondo Kant) oppure può optare per il desiderio egoistico e interessato del proprio piacere e al limite della propria felicità.
Ogni oggetto fenomenico è l’epifania di un oggetto noumenico e l’Io non fa eccezione a questo legame: il carattere dell’uomo fenomeno è la manifestazione del carettere dell’uomo noumeno. Se come dice Kant, nella “Critica della Ragion Pratica”, ogni azione dell’uomo appartiene ad un “unico fenomeno del carattere intelligibile”, ogni azione è un fenomeno particolare della vita dell’uomo come dato sensibile. Per cui si viene a stabilire una catena causale e necessaria di azioni che le lega le une con le altre. Ogni azione umana è intrappolata dalla necessità, anche se è una necessità diversa da quella degli eventi. La necessità delle azioni è l’esplicazione temporale dell’unità fenomenica di quello che è il carattere intelligibile scelto liberamente dall’Io noumenico. Se l’Io noumenico ha scelto un carattere buono è necessario che siano buone le azioni dell’Io fenomenico; viceversa se il carattere intelligibile di un Io è cattivo, è necessario che lo siano anche le sue azioni. La posizione che quindi, magari suo malgrado Kant si trova ad assumere è determinista. Ed è anche compatibilista? Detto in altre parole: e la libertà? Il determinismo kantiano è un determinismo verticale: c’è una necessità che lega le azioni, fenomeniche per loro stessa natura, ad un atto di libera scelta, arbitrario che è collocato presso un Io noumenico che, in quanto noumeno non possiamo conoscere. In altre parole per Kant la libertà non è qualcosa che si può conoscere, l’uomo si trova di fronte ad un se stesso già dato le cui motivazioni non può conoscere se non a posteriori. L’uomo fenomenico, il solo che posiamo conoscere, entra nella storia con a monte una scelta che lui stesso ha fatto ma la cui natura ci resterà sempre ignota.
Ciò che il singolo Io fenomenico diviene nel tempo è una semplice esplicazione di un Io noumenico atemporale. Di fatto noi non sappiamo se stiamo agendo moralmente o meno se non nel momento stesso in cui diventiamo fenomeno
. La domanda che possiamo porre alla fine è quale valore possa assumere una libertà postulata in tal modo? Una libertà che non possiamo sapere cosa sia e che esiste solo in un mondo puramente intelligibile ma che decade nella necessità fenomenica se vogliamo indagarla? Data la nostra impossibilità di conoscerla, è possibile che non esista nemmeno in quel mondo , ma se esiste essa deve collocarsi nel mondo noumenico. Anni dopo Nietzsche, in “Umano, troppo umano” avrebbe avrebbe detto in porpositio che liberi possiamo sognarci liberi ma non farci. E forse ha ragione Peter van Inwagen quando dice che siamo costretti a credere di essere liberi.