Una prospettiva di congiunzione

di Andreas Massacra

Questo breve articolo si propone di fornire una prospettiva di inquadramento dell’ interpretazione delle azioni collettive intenzionali , andando a coniugare l’aspetto filosofico con le più nuove scoperte in termini di neurofisiologia dell’azione e dell’intenzione, utilizzando come modello quello simulativo proposto dal filosofo A. Goldman e dal neuroscienziato V. Gallese (per cui noi simuliamo le azioni altrui tanto a livello razionale quanto a livello neurale), senza dare una soluzione definitiva, essendo ricerche tuttora in essere ma indicando una possibile nuova via.

Facciamo però una breve premessa metodologica che serve a mostrare i vantaggi di questa nuova prospettiva: il primo passo che compiamo è quello di discostarci dall’ approccio classico utilizzato nell’ambito della filosofia analitica, che prevede una analisi concettuale pura, ossia una spiegazione dei concetti psicologici  prescindendo dal contenuto empirico e definendoli esclusivamente nelle loro mutue relazioni . E’ nostra opinione che l’ analisi concettuale debba accompagnarsi ad una analisi del dato empirico così da coniugare la chiarezza e la chiarificazione dei concetti e delle loro relazioni con la produttività di una ricerca empirica evitando l’impasse , proprio grazie alla chiarificazione concettuale, causato da una mancanza di presa della nozione teorica sul fenomeno empirico . Affinché una filosofia delle neuroscienze possa dirsi efficace deve essere al corrente dei risultati della scienza applicata, deve saperli strutturare e se necessario rivedere le proprie posizioni alla luce di nuove scoperte . Quello che le nuove prospettive sembrano aprire è un discorso filosofico empirista che congiunge tre livelli: intenzionale , funzionale e neurale . La dicotomia tra filosofia, che pone in relazione l’intenzione ad un evento ,  l’ insieme relato di entrambi essendo chiamato azione e la scienza, che fa altrettanto ponendo però come primo estremo la rappresentazione motoria, risulta essere meno netta , alla luce dei dati di ricerca e della loro integrazione in sistemi coerenti.

Il primo punto da cui partire, potrebbe essere una naturalizzazione dell’intenzionalità , andando così a preservare la rappresentazione di una azione sotto il formato della rappresentazione motoria evitando un approccio eliminativistico tout-court .

Per parlare di azione e intenzione collettive , considerandole anche come parte dello studio delle interazioni tra soggetti e quindi manifestazione del grado di comprensione reciproca tra essi , e del ruolo che in esse possono avere le rappresentazioni motorie , è necessario però indagare il ruolo che tali rappresentazioni hanno nelle azioni individuali.

I neuroni motori , a livello della corteccia premotoria , negli studi effettuati su macachi , si attivano non solo in base alla cinematica dell’azione ma scaricano anche per il fine dell’azione . Non è dunque vero che le rappresentazioni motorie sono veicolanti esclusivamente movimenti corporei ; è stato evidenziato che non sempre si attivano gli stessi neuroni per i medesimi movimenti , soprattutto nel caso in cui i fini di tali movimenti differiscono . Le attivazioni neurali , così come osservate nella corteccia premotoria ventrale (area F-5) si attivano inoltre secondo gli schemi di movimento rilevanti per l’ azione (per la presa a mano piena è sufficiente , a livello premotorio , la rappresentazione di un dito per il pollice e di uno che comprende tutte le altre dita) . La soluzione che sembra essere la più fruttosa per una congiunzione feconda tra filosofia e scienza, nel senso cui si è detto sopra, è quella sostenuta dagli epistemologi C . Sinigaglia e S . A . Butterfill : sia l’ intenzione che la rappresentazione motoria coordinano le azioni , sono sensibili agli esiti e facilitano il loro raggiungimento . La differenza che corre tra le due è una differenza di formato in quanto l’ intenzione , a differenza della rappresentazione motoria , ha il formato dell’atteggiamento proposizionale . Il legame tra le due è un legame di deissi in virtù del quale l’intenzione si collega all’ azione tramite la rappresentazione motoria , evitando anche la scomoda introduzione , tentata dalla filosofa Elisabeth Pacherie , di una Intenzione Motoria : il problema della soluzione da lei proposta  è che non fornisce una risposta sul cosa rende intenzione una intenzione motoria . Infatti , riferendosi essa al movimento , non ha contenuto proposizionale e quindi è problematico il suo inserimento all’ interno di un ragionamento pratico . La domanda cui si dovrebbe rispondere a questo punto è che cosa renda l’Intenzione tale correndo il rischio di svuotare di significati il concetto  stesso di intenzione.

Tuttavia è stato osservato che esistono neuroni , i neuroni specchio , che si attivano , non solo quando il soggetto compie o immagina di compiere una certa azione , ma anche allorquando il soggetto vede compiere quella azione da altri – fermi restando i vincoli biologico-motori e l’expertise del soggetto stesso , che rendono più forte l’attivazione neurale sia nell’esecuzione che nell’osservazione – . Anche questi neuroni si attivano non solo per la cinematica ma anche gli scopi dell’azione .

La domanda che qui si pone è se la rappresentazione motoria , che non ha contenuto proposizionale, come naturalizzazione dell’intenzione, abbia un ruolo specifico nelle azioni intenzionali collettive oppure facilita le azioni collettive come qualsiasi altra forma di azione coordinando solo le azioni dei singoli . A livello motorio già il soggetto stesso fa esperienza di azioni complesse che richiedono non solo singole sotto-azioni ma anche la loro coordinazione . Sul piano delle rappresentazioni motorie c’è differenza tra una azione del singolo e una azione collettiva e questa rappresentazione ha tre componenti : l’azione propria ; l’ azione altrui la cui rappresentazione motoria ci è data dai neuroni specchio ; e la rappresentazione dell’esito congiunto . Quest’ ultima rappresentazione è tale che vi è una relazione mezzi-fine tra le azioni individuali e l’azione congiunta e non è riducibile alla somma delle rappresentazioni dei singoli . Ciò in parallelismo con quanto assunto da filosofi come Bratman e Searle per quanto concerne l’intenzione collettiva .

Qualora i dati empirici dessero spazio a questo genere di congiunzione, bisognerebbe poi cercare di inquadrare questo tipo di intenzionalità , cioè una intenzionalità legata alle rappresentazioni motorie, alle interazioni personali dovute all’interpretazione del comportamento altrui , nella fattispecie alla Simulation Theory di A . Goldman . In particolare si dovrà colmare la lacuna presente nella Simulation Theory tra low level simulation e high level simulation, ossia lo spazio, il gap esistente tra una simulazione delle intenzioni altrui, condotta su atteggiamenti proposizionali e ed in formato discorsivo (il mettersi nei panni altrui) e l’attivazione di pattern neurali specchio che avvengono indipendentemente dalla nostra presa di coscienza . Affinché il mind reading abbia successo , nella teoria della simulazione , alla simulazione va aggiunta l’attribuzione all’altro soggetto . Nella simulazione di basso livello , cioè quella che coinvolge il fenomeno del mirroring (i neuronio specchio appunto) , manca l’attribuzione , essendo la rappresentazione motoria scaturita dai neuroni specchio , una rappresentazione generale legata al tipo di azione e ai suoi movimenti ma non al soggetto da interpretare ; attribuzione che invece può essere applicata senza problemi nella simulazione di alto livello .La sfida che questo approccio deve affrontare, con l’aiuto dei dati empirici , è vedere se il meccanismo di deissi tra intenzione individuale e rappresentazione motoria sopra delineato possa colmare il difetto di attribuzione ; ossia la rappresentazione motoria scaturita dall’osservazione del comportamento altrui possa essere destinataria di una deissi da parte          dell’ osservatore che lega la rappresentazione motoria con le intenzioni che di norma il soggetto stesso congiunge a quella rappresentazione . L’ attribuzione avrebbe così una base anche nella low level simulation e ciò permetterebbe di saldare il gap presente nella teoria , poiché la rappresentazione motoria non sarebbe solo un riconoscimento di un atto ma anche dei motivi che il soggetto solitamente lega al compimento proprio dell’azione . Un legame , precisiamo, però debole in quanto non vi è una vera e propria attribuzione all’ altro nel suo compiere l’azione , ma c’è la non attribuzione ad un soggetto che sta ad indicare quindi la semplice alterità sia della rappresentazione che  dell’ intenzione che, in base all’esperienza del soggetto precede quell’ azione .

Per quanto concerne le azioni collettive , nelle quali la rappresentazione motoria dell’ esito coinvolge anche il rapporto di coordinazione tra l’ azione compiuta e l’ azione specchiata , il successo del mind reading risulta connesso con il successo dell’ azione stessa , avendo i soggetti coinvolti la necessità di rappresentare e  interpretare correttamente i movimenti altrui e prevedere quindi gli atti successivi in reciproca coordinazione . Laddove è debilitato un corretto mirroring , bisognerà vedere se cadono i modelli di azione collettiva basati sul riconoscimento dell’intenzione altrui, in altre parole se, e fino a quale punto, un deficit nella simulazione di basso livello dovuto a patologie o traumi nelle aree cerebrali che la interessano abbia come conseguenza l’incpacità di compiere azioni collettive con intenzionalità collettiva.

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