
Le riflessioni calate giù qui di seguito, un po’ di getto, sono il frutto delle discussioni sul 25 aprile e sulle interrogazioni che ci si può porre sull’uso – o sull’abuso– che si fa, o meglio che la politica come arte e sapere dell’immanenza fa, della storia. La storia è una disciplina che nell’attuale disorientamento dovrebbe rappresentare una guida.
Il razionalismo, che pur molti benefici ha apportato ad altre discipline, per la storia ha avuto un rovescio della medaglia che può snaturarne una corretta comprensione e distorcerne l’insegnamento: porta con sé, con la sua tendenza alla formulazione, il rischio della pigrizia, ovverosia della generalizzazione tramite formule di quell’infinitamente complesso e perpetuo movimento che è lo svolgersi delle vicende umane. La comodità del chiudere tutto dentro ad una legge per non essere più costretti a ricercare.
In realtà la storia mostra, se ripulita dalle sue immagini convenzionali, quanto differenziato sia ciò che è avvenuto nella storia dell’umanità. Le istituzioni nazionali sono la risultante di vari e multicolori psicologie nazionali il risultato, diverso da momento a momento, di numerosi fattori. Compito della storia è cercarli e ricercarli continuamente, in un percorso senza fine ma con una grana sempre più fine. Questa ricerca storica c’impone la convinzione (forse con buona pace di ogni storicismo) che l’azione umana è complessa nei suoi motivi innumerevoli e non può ripetersi, a meno che non potesse ripetersi l’intero stesso –anche se fosse, per parafrasare un poco Gorgia, dovremmo avere una visione completa dell’intero medesimo per poter trarne una qualsivoglia formula predittiva-. Nella riflessione storica di secoli or sono la storia era detta magistra vitae. Ma forse l’unica lezione che la storia dà è quella di non fornire alcun esempio da seguire; essa in realtà, nella sua complessità, ci previene contro ogni tendenza a cercarne. La storia spiega e rappresenta al medesimo tempo, il materiale che utilizza nelle sue spiegazioni, perché essa si ritrova fino al più minuto dei dettagli, che in ogni momento può essere usato in un senso determinato. Gli elementi che hanno concorso alla creazione di una forma della manifestazione della vita, che sorse in un determinato luogo e momento, sono unici e non saranno mai più in alcun altro luogo. La direzione che fornisce la storia non va ricercata costruendo paralleli ma attraverso analisi interne che riescono a dare chiarezza e contezza di quella specifica situazione analizzata.
Uno spirito storico vero e proprio è estremamente raro, viceversa le nuove tecnologie possono formare curiosi ed eruditi in gran quantità. Tuttavia per essere storico si richiede un mattone fondamentale e basico, oltre alla conoscenza delle fonti e alla loro critica: la comprensione umana dell’uomo che fu, la capacità di riportarlo in vita, in altre parole la συμπάθεια e la ποίησις. Lo spirito storico consiste in primo luogo nel sentimento incessante dello svolgimento: la lezione, come detto prima, dell’assenza di esempi, ci insegna che le cose e gli eventi in questo mondo non sussistono di per se stessi, non vivono singolarmente ma che qualunque cosa viene da un passato, che ha effetti sul presente (che vive in esso), e che racchiude i semi dell’avvenire. L’idea che basti la conoscenza del presente per amministrare, legiferare, ma più largamente per sapersi orientare nella realtà complessa, è una illusione. Il presente per sua stessa natura non può essere colto in uno sguardo d’insieme. Per questo non si possono trasferire costituzioni, e copiare legislazioni.
In secondo luogo lo spirito storico deve avere la coscienza della relatività, una relatività profonda sulle conoscenze della realtà passata; non solo è illusorio credere che possa esservi una riduzione semplice e definitiva dei fenomeni ma che la verità stia in mezzo alle interpretazioni che ne diamo e ad altre cose che ignoriamo e che forse non sapremo mai. Il risvolto più immediato della relatività delle conoscenze, propria dello spirito storico, è la necessità della tolleranza.
La relatività e la coscienza del succedersi degli eventi porta con sé la terza caratteristica dello spirito storico, e cioè la visione organica della realtà vivente in cui tutti gli elementi collaborano alla costruzione di un insieme solidale.
Il risultato finale della riflessione sullo spirito storico e sullo studio della storia, sommamente utile forse per questo tempo presente, deriva e va oltre la tolleranza: parliamo qui dell’integralità che deve pervadere lo spirito storico. Riconoscere questo cardine significa comprendere che ogni storia particolare, sia essa quella di un individuo, di una classe sociale o di una nazione è percorsa da ogni altro sviluppo storico con cui si influenza vicendevolmente, divenendo un momento di una organica storia dell’umanità vivente passata, presente e futura.