di Domenico Vito

Sono giorni caldi questi non solo per il “riscaldamento globale” , ma anche perché in tutto il mondo le piazze si stanno animando per lo Sciopero Mondiale per il Clima.

Le parole di Greta Thunberg hanno scosso il mondo e riportato i giovani, i giovanissimi in piazza Per il movimento per il clima, questo è stato uno scossone di energia.

Mai prima d’ora il tema del Cambiamento Climatico ha avuto cosi tanta rilevanza. Mai come ora la popolazione vuole sapere, e vuole conoscere, Greta ha messo alle spalle al muro i leaders mondiali.

L’attenzione mediatica sul Climate Change è alle stelle e mai come ora e questo sicuramente anche grazie alla ragazzina svedese.

Greta è diventato oramai un fenomeno mediatico, e con quell’effetto sta conquistando le pagine dei giornali, le piazze, ha attivato un movimento.

Come ogni movimento di massa è in se affascinante, rappresenta un cambiamento.

Ma come ogni movimento di massa va capito e accompagnato, perché non si auto-divori e non venga strumentalizzato nel giro di poco,

Prima di tutto.

Occorre capirlo perché nella sua radicalità rischia – accentrando l’attenzione sulla figura di Greta – di monopolizzare l’attenzione, solo sulla sua figura di questa bambina.

Si potrebbe arrivare per assurdo alla sovrapposizione della figura Greta con il cambiamento climatico nell’immaginario collettivo.

Questo sarebbe un rischio comunicativo che sminuirebbe il fenomeno, creando una sorta di effetto placebo di massa per cui – basta scioperare per risolvere il problema del cambiamento climatico.

Il cambiamento climatico è un fenoneno complesso, che richiede sia un’azione globale sia un’azione locale. Nei negoziati internazionali , una forma di mediazione viene proprio chiamata dialogo Talanoa denominazione che viene dalle tradizioni Fiji che significa “siamo tutti sulla stessa barca”. Il ruolo di tutti è importante, come un piccolo tassello e la personificazione di questa battaglia, ha un forte rischio in questo senso – seppur spinge milioni di persone a “mobilitarsi”:

Il problema tuttavia è che lo sciopero della scuola ha essenzialmente un valore mediatico, ma alla lunga non permette agli scioperanti di avere quell’educazione che un giorno li porterà a poter realmente contribuire a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

Lo sciopero è una dimostrazione e di per se non fa nulla “contro” il cambiamento climatico, se poi non segue un’azione costante, un educazione, un modo di vivere diverso.

Molta percezione diffusa va in questa direzione purtroppo, con un idea forse romantica e nostalgica di altri tempi e di altre battaglie.

La battaglia o se vogliamo l’evoluzione che il cambiamento climatico impone richiede quindi uno sforzo giorno per giorno nelle azioni quotidiane, oltre all’atto dimostrativo.

Un altro elemento che nel fenomeno Greta va preso con cartesiano dubbio, spesso è il linguaggio e alcuni messaggi.

Nei suoi discorsi Greta è sempre molto brava a fare prima di tutto impatto – è capace di usare parole come montanti – all’indifferenza collettiva ed in questo è la chiave del suo successo comunicativo. Scuote, interroga, sciocca , mette i potenti con le spalle al muro.

E questo è bene…si dirà

Ma questo shock, questo terremoto – come ogni movimento tettonico – può portare dei danni strutturali proprio per la sua innocente traumaticità e drammaticità.

Greta ha lanciato nell’usare il suo linguaggio scioccante diversi messaggi potenzialmene fuorvianti e inesatti , come “I want panic” – voglio panico o “ I don’t want hope”. Questi due in particolare vanno sempre contestualizzati e targettizzati : se rivolti ai potenti della terra – adulti e ben psicologicamente ben strutturati – hanno un senso e si capisce che sono un messaggio a spronare ad assumere il proprio ruolo senza voler fuggire da decisioni impopolari.

Se massificati, questi due messaggi niente hanno a che vedere con una soluzione per i problemi legati al cambiamento climatico: il panico di massa non aiuta ad attuare quelle soluzioni di adattamento e mitigazione previste dall’accordo di Parigi e dal pacchetto di Katowice. Inoltre una citazione di un certo movimento non violento che si rifà molto facilmente a richiami messianici (come quelli che si vogliono attribuire a Greta) dice: “non augurare agli altri quello che non vorresti tu”. E il panico, direi che non è una cosa bella da augurare a tutti.

Inoltre quell’ “I don’t want hope” – se anch’esso massificato –  rischia di anestetizzare da un sentimento umano e bellissimo che la speranza, l’aspettativa, la visione di futuro, che è alla base della creatività per la ricerca di nuove soluzioni, ai problemi.

La speranza, lo spirito di sopravvivenza, il valore della vita, come ricordato da un’altro testo di riferimento per il movimento legato al cambiamento climatico – ossia l’enciclica Laudato Sì – devono essere un motore della spinta decisionale in questa grande sfida evolutiva che l’umanità sta affrontando.

Se non contestualizzate e massificate quindi, alcune dichiarazioni di Greta Thunberg rischiano quindi di ispirare e foraggiare alcuni movimenti nichilistici e che semplificano il problema del cambiamento climatico e che stanno riscuotendo molto successo soprattutto tra i più giovani – che tradotto significa un’ulteriore delitto verso il futuro della nostra specie [1].

Questa serie di spunti di riflessione, potrebbe apparire troppo analitica e sicuramente ad oggi “impopolare”: delle possibili repliche potrebbero argomentare che di certo non si possa imputare all’innocenza di Greta e alla sua età, il peso e le ricadute delle sue dichiarazioni.

Sarà colpa dei media, delle mistificazioni, degli haters….Greta è Greta ovviamente e sta compiendo un’opera epocale.

E queste repliche sono più che legittime: non è certo da imputare a Greta nella sua libertà e responsabilità di parola dell’effetto delle sue dichiarazioni. Data la sua età la sua condizione e una serie di apparentemente inattaccabili attenuanti….

Il nodo sta forse in chi ascolta e in chi diffonde il messaggio nell’epoca dei social.

Tra questi non con possibili effetti negativi, stanno avendo la meglio i sensazionalisti,i catastrofisti, gli amanti di certe forme di isterie collettive, i profeti e gli esperti dell’ultimora ed in certa misura anche i nostalgici delle rivoluzioni.

Quindi, prima di tutto:

  1. Il cambiamento climatico, pone l’umanità a delle trasformazioni tecnologiche e societarie atte a superare alcune visioni del mondo appartenenti ad inizio secolo: si usa spesso parla di transizione alla Robert Hopkins[2] piuttosto che di rivoluzione, scioperi o piazze. Ed anche in questo sta l’evoluzione del pensiero che richiede compenze scientifiche e visione sistemica. 
  2. Lo stesso accordo di Parigi, parla di equità intergenerazionale nella lotta al cambiamento climatico: senza entrare troppo nel merito questo principio introduce una dimensione dialogica tra le generazioni. E questo dialogo, questa presa di coscienza reciproca è la vera chiave di volta.

Non basta quindi dire “Greta ha ragione”, ora lasciamogli completamente il palco, va bene tutto anche la divinizzazione e saliamo sul carro…che è la volta buona.

Laddove è necessario bisogna esserci, esprimersi, perchè QUESTO è anche il dialogo tra generazioni, che permette di crescere evolvere…

In questo elemento, sicuramente una grande parte dei sostenitori – soprattutto adulti – di Greta si dimostra attratta dal personaggio in ogni sua parola – ovvero anche quando cita “non siete maturi abbastanza”.

Ebbene, il non dare un dialogo, una controposizione dove necessario, magari fornendo un bagaglio di esperienza è un’ulteriore assenza di maturità da parte di molti di quei sostenitori adulti di Greta che un po’ in parte rinunciano al ruolo dell’adulto nella società che è invece essenziale per questi ragazzi che protestano.

C’è da dire sicuramente – come una forte attenuante – che gli adulti di oggi presentano una forte disparità conoscitiva e comunicativa sull’argomento, presentandosi come disarmati con questi ragazzi.

E qui entra in gioco il ruolo di un’altra “neo categoria sociale” citatata in questo articolo che sono i cosiddetti millenials – ossia quelli giovani, ma un po’ meno di Greta, che spesso nella storia sono rimasti silenti e senza ruolo, quelli che hanno vissuto le ultime fasi del welfare post guerra, quelli che sono nati agli all’alba della transizione.

In questa vicenda essi hanno un ruolo fondamentale in quanto sono i – pontieri – tra futuro e passato.

Sono abbastanza grandi da ricordare alcune vicende del “vecchio sistema”, ma hanno le potenzialità e le competenze per “creare e accompagnare il nuovo”.

Ed è proprio questo che c’è da fare con i giovani strikers.

Accompagnarli nella loro battaglia, non in modo strumentale, non in modo bonario – ma mantenendo il proprio spirito critico costruttito e seguendo proprio il principio dell’equità intergenerazionale.

I millenials non sono disarmati nel dialogo con gli strikers, ma hanno le potenzialità di fornire loro strumenti contenuti e visione alla loro virale e spontanea e legittima richiesta.

Insieme a loro, e a tutti realizzare il cambiamento , tutelando altresi movimenti di FridaysForFuture da potenziali e probabilissime strumentazioni.

The kids are coming, moving but they aren’t all right.

But that’s ok .

Millenials are there…

Risorse

[1] https://www.japantimes.co.jp/news/2019/02/20/world/science-health-world/extinction-rebellion-climate-activists-want-give-hope-wake/

[2] http://www.vita.it/it/article/2014/03/07/la-lezione-di-rob-hopkins-il-guru-delle-transition-towns/126301/

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