di Domenico Vito
La COP24 si è ormai conclusa e su di essa occorre meditare, un po’ a freddo.Diversi sono i commenti che girano tra “pienisti” e “vuotisti”: perchè la senzazione è stata proprio questa. Soddisfazione a metà, oppure scontento ma con qualche risultato.
“Fragile balance “ cosi definisce il presidente della COP24 Michal Kurtyka il risultato della COP24.Ed è esattamente così. Si è combattuti tra l’essere felici per il risultato oppure se rimpiangere il mancato obbiettivo pieno ossia il totale accordo sugli elementi dell’accordo di Parigi.
Molti esperti rimangono fiduciosi perchè la “COP ha deliberato” : il rulebook per l’implementazione dell’accordo di Parigi esiste.Sono stati implementati diversi meccanismi.I corpi negoziali hanno ratificato il Katowice Climate Package (KCP) che contiene il Rule Book.
L’assemblea ha ratificato quindi i meccanismi di Loss & Damage meglio conosciuto come Warsawa International Mechanism for Loss and Damage(in quanto promulgato durante la COP19 a Varsavia e ratificato definitivamente a Doha nel 2012. Tale meccanismo prevede la compesazione economica di quegli effetti legati al Cambiamento Climatico che occorrono e sussistono , nonostante i tentativi di ridurre le emissioni.Questo punto ed altri legati alla finanza climatica ,aveva durante le ultime ore di negoziato preso una brutta piega. Non si trovava l’accordo sulle coperture economiche e sulla cooperazione tra stati “industrializzati” e “in via di sviluppo”: Alla fine invece le parti sono venute ad un accordo rispetto ai contributi e ai flussi finanziari ai fondi di finanza climatica ossia il Green Climate Fund (GCF), Least Developed Countries Fund (LDCF), e Adaptation Fund.
Altri meccanismi di adattamento e mitigazione vengono approvati, con la differenza che questi tuttavia ad ora non sono previsti volontari e integrati negli NDC. Il grosso punto nero difatti, oltre alle scaramuccie molto poco costruttive ottenute sull’accettazione del IPCC Special Report (per approfondimenti vedere la diatriba tra “Welcome the report” and “noted the report” tra il blocco USA, Russia Kuwait e il resto) in seno al SBSTA (Subsidiary Body of Scientific and Technology Advice), è stato il non accordo sull’implementazione dell’articolo 6 punto 4 dell’accordo di Parigi – ossia quello che sancisce le misure con le quali attuare gli NDC tra cui coinvolgimento del settore privato e REDD+) e cosa molto imbarazzante e preoccupante – il riferimento allo sviluppo sostenibile : La sua approvazione slitta direttamente alla COP successiva. Citando il Co-Chair del SBI Mr. Naser Moghaddasi in un suo intervento “nel cambiamento climatico, vincere lentamente è perdere”
Grazie al cielo, l’UNFCC è si un organo resiliente di nome e di fatto, e di fronte ai “cicloni politici” sa trovare le vie per provare a uscirne. Molte decisioni del rule-book difatti saranno perfezionate nel previsto UN 2019 Climate Summit di Settembre, lanciato dal segretariato Generale Antonio Guterres per aggiustare il tiro sugli obbiettivi al 2030.
Altre news positive derivano dal fatto che è stato approvato il “Transparency Framework” ossia il set di meccanismi per rendicontare in modo equo e trasparente le riduzioni di emissioni al 2020 (Ricordiamo che il protocollo di Parigi richiede di revisionare i propri impegni di riduzione delle emissioni ogni 5 anni. Rispetto al tema emissioni altri risultati pervengono dall’adozione del Tecnology Transfer e dei meccanismi di flessibilità: il primo prevede misure di cooperazione tra parti in modo che chi non ha capacità di rendicontare le emissioni possa avere aiuti da chi ha più mezzi tecnologici. Il secondo è un meccanismo – nato da delle posizioni dubbiose di India e Cina soprattutto – che permette di tarare gli NDC sulla base del proprio grado di sviluppo. Le richieste di riduzione di emissioni diventano quindi più stringenti, man mano che si ha un grado di sviluppo maggiore. In sè una misura molto diplomatica che però avvicina l’Accordo di Parigi al Protocollo di Kyoto, con tutte le conseguenze del caso.
Ottimi invece i risultati per il coinvolgimento delle comunità indigene e agricoltura, approvata e regolamentata la Piattaforma dei Popoli Indigeni e Comunità Locali,che pone il sapere di queste comunità come elemento informativo incluso nel discordo sul cambiamento climatico. Inoltre per ridurre le emissioni legate al comparto agricolo passa anche il Koronivia joint work, approvato da SBSTA e SBI che rappresenta un framework di dialogo e partecipazione diretto dalla FAO per implementare quella che viene definita Climate Smart Agriculture, ossia un agricoltura che si adatta sapientemente al cambiamento climatico.
Insomma alcuni risultati, ma anche delusione per non aver “fatto proprio tutto”. Le parole d’ordine in questa COP erano ambizione e giusta transizione: queste parole sono state fatte tuonare negli inteventi degli Obsver NGO e in alcuni interventi delle parti: di grande impatto gli interventi della Women and Gender Constituency che rimprovera un’assenza di riferimento ai diritti umani e di YOUNGO – constituency dei giovani che afferma “ siete stati lontani dall’essere ambizioni, avete deciso di non pensare al nostro futuro”.
La COP24 si chiude così, con un fastidio e insoddisfazione latente.
Piccola nota romantica: nella cerimonia finale le parti ricordano una negoziatrice morta proprio nella notte tra il 14 e il 15. Si era spesa come una leonessa per la realizzazione della convenzione e ha visto solo di striscio la sua fine. Quello stesso sapore agrodolce che molti hanno provato alla fine…
Come prenderla? Tra speranza e disperazione, la prima per portare avanti un risultato che c’è ed è importante che ci sia – sarebbe stato un disastro altrimenti e i detrattori non aspettano altro – la seconda per rendersi conto dei “ costi delle opportunità perdute” come perafrasava Bentran Piccard.
E quindi? E quindi se quella certa ambizione è mancata ora è necessario averla
E ragionare con obiettività, senza corroboranti e roboanti disfattismi ne con gridi di trionfo
Testa bassa e lavorare