di Andreas Massacra

Una delle più dure critiche alla teoria economica marxista fu fatta dal filosofo Karl Popper. Secondo Popper, infatti una teoria scientifica risulta tale se vi può essere un evento che la falsifichi e dunque la invalidi. La non falsificabilità di una teoria  non è un pregio.

Certo una teoria può essere corroborata al verificarsi di eventi che

prevede ma è la falsificabilità a dettarne la scientificità. Ed è su questa nozione che si impernia critica popperiana al marxismo: i marxisti al non verificarsi delle conseguenze teorizzate da Marx hanno rivisto teorie e fatti per renderli compatibili. Hanno così reso la teoria infalsificabile e pertanto pseudo-scientifica.

In realtà, forse si potrebbe obiettare a Popper che, se da un lato è vero che la diseguaglianza dei saggi del profitto in industrie diverse (conseguenza della teoria marxista) può essere riconoscuita come falsa, dall’altro le critiche che egli muove al sistema marxiano ricadono fuori dal sistema marxiano stesso.

All’interno del sistema marxista si possono distingure, a livello formale, due momenti: il primo è la trattazione scientifica del modo capitalistico di produzione; il secondo, più eterogeneo, è composto da quelle visioni che Marx offre sullo sviluppo della società capitalista, considerazioni che esulano però dal nocciolo della trattazione scientifica che è una analisi della struttura e delle dinamiche del capitalismo.

Chiariti in questi paragrafi le premesse, ci addentriamo un poco meglio, nella critica popperiana.

Popper sostiene che il fatto che la rivoluzione si sia verificata in Russia prima che in Inghilterra sia potenziale falsificazione della teoria marxista. Ma questa critica non centra del tutto il punto. Per prima cosa occorre sottolineare che, data l’arretratezza economica della Russia ai tempi del Capitale, con una situazione sociale del tutto differente da quella inglese, la teoria non impegna Marx in una predizione dell’accadimento rivoluzionario in Russia. L’impero degli zar, in virtù delle sue condizioni socio-economiche non è compreso nell’indagine scientifica di Marx e quindi si potrebbe dire che il verificarsi o meno della rivoluzione proletaria in Russia è irrilevante per valutare l’adeguatezza dell’analisi della società capitalista. Lo stesso Marx sconsigliava l’applicazione della Teoria del Capitale alla Russia di fine secolo decimo nono.

A questo punto bisogna vedere se l’analisi economica del Capitale impegna chi la sostiene nella predizione della rivoluzione nell’Europa industrilizzata. Se si considerano entrambi i succitati livelli dell’impianto marxiano sì, ma in senso stretto e prima di tutto no. La teoria del Capitale supporta e cerca di corroborare la convinzione dell’inevitabilità della rivoluzione.

Le conseguenze più prossime della teoria, però, sono altre (ad es: la concentrazione e la centralizzazione della produzione industriale, la formazione di un esercito industriale di riserva, la ciclicità delle crisi economiche, ecc…). Sono queste conseguenze dirette che secondo Marx condurranno poi alla rovina del capitalismo,inteso come modo di produzione. Ma questa pare più una speculazione, forse tendeziosa (per di più a lungo termine) sulle conseguenze della teoria che non una conseguenza diretta del  Capitale.

Si può comunque puntellare la critica di Popper sostenendo che anche le conseguenze più dirette come: la caduta del saggio del profitto, l’intensificazione delle crisi, l’immiserimento del lavoro, la formazione di un esercito industriale di riserva non si siano verificate tutte e completamente. Marx in realtà aveva già risposto a queste critiche sostenendo che queste anomalie del sistema sono causate da controtendenze, ossia interferenze che rendono contezza del mancato verificarsi delle conseguenze. E qui la questione si fa più spinosa perchè, popperianamente e coerentemente si potrebbe tacciare Marx di convenzionalismo, con l’introduzione delle controtendenze per spiegare la differenza tra fatti attesi e fatti osservati, rendendo infalsificabile e quindi pseudo scientifica la sua teoria. Lo sfruttamento coloniale fu la controtendenza utilizzata da Marx per spiegare il mancato drastico calo del saggio del profitto.

A questo punto occore muoverci nella pura teoresi e chiedersi se sia razionale e scientificamente lecito introdurre una nozione di legge tendenziale richiamandosi a delle controtendenze.

Marx si trovava a dover spiegare il calo del saggio del profitto nelle industrie britanniche della seconda metà del diciannovesimo secolo: per la teoria marxista i profitti sono proporzionali all’ammontare nel lavoro impiegato, quindi al pluslavoro. I capitalisti, introducendo tecniche più efficienti per incrementare il loro profitto, causano la crescita del rapporto capitale-lavoro. Il saggio del profitto è il rapporto tra il saggio del plusvalore (rapporto tra il plusvalore ottenuto dallo sfruttamento di ore lavorative non retribuite e il capitale variabile, ovvero il costo effettivo dei salari degli operai, basato sul lavoro necessario e tutto il capitale anticipato, ovvero salari e costi dei macchinari, delle materie prime, dei trasporti cioè capitale fisso più capitale variabile) e se i salari tendono a diventare una parte sempre più piccola del capitale totale, il saggio del profitto tende a diminuire. Di conseguenza, la teoria marxiana del plusvalore conduce alla legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Marx era in difficoltà per la lentezza di questa decrescita del saggio del profitto. Per spiegare questo Marx sostiene che la legge della caduta del saggio del profitto sia soltanto tendenziale e che può essere controbilanciata da alcune controtendenze non ancora descritte. Nella fattispecie: l’aumento dell’intensità del processo lavorativo; la compressione del salario al di sotto del valore della forza-lavoro; la possibilità di bilanciare la caduta espandendo il sistema capitalista a mercati stranieri nel quale le merci possono essere vendute al di sopra del loro valore. I capitalisti attuano queste strategie appunto perchè percepiscono il calo del saggio del profitto. La teoria del Capitale, con l’introduzione delle controtendenze su esposte sembra uscire arricchita e teoricamente più realista.

Resta la domanda di Popper: introdurre tali controtendenze per spiegare le discrepanze non riduce drasticamente, se non annulla del tutto, il correlato empirico della teoria? Ma è possibile tracciare una distinzione tra introduzioni ad hoc e modificazioni progressive e successive di una teoria? Per un programma di ricerca economica, come quello marxiano, è molto più difficile.

Il problema si pone in realtà per tutta la scienza: quando uno scienziato si trova davanti una preposizione dedotta dalla sua teoria che risulta essere falsa, ha diverse opzioni: rigettare la teoria nella sua interezza; rigettare una porzione della teoria così da evitare la conclusione falsa; modificare la teoria per evitare la conclusione falsa; oppure introdurre assunzioni supplementari per dimostrare come la teoria sia consistente con la negazione della preposizione incriminata.

Se la teoria è corroborata da molte evidenze in suo favore si è razionalmente portati ad integrarla, magari anche limitando l’applicazione delle sue leggi, oppure a modificare le leggi della teoria per adeguarla all’esperienza. Il problema, la difficoltà, è la modificazione di una teoria che porti ad una descrizione più realistica del mondo ma che al contempo non sia ad hoc. La modificazione di una teoria è teoricamente progressiva se tale modificazione amplia il contenuto empirico della versione precedente, ed è empiricamente progressiva se alcuni dei suoi contenuti vengono corroborati.

Questo a nostro avviso accade con la teoria marxiana: le controtendenze introdotte, lungi dall’essere convenzionaliste, hanno portato una formulazione più precisa del modello economico.

L’uso delle controtendenze ricade ancora nel criterio di razionalità e controllabilità della modificazione di una teoria, fuoriuscendo da queste solamente se la teoria non è più progressiva né empiricamente né teoricamente (ed in questo caso, a ragion veduta si potrebbe rigettarla toto coelo). Bisogna quindi guardare il tipo di controtendenza utilizzata, più che, come fa Popper, bocciare tout court l’uso della controtendenza in sé

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