di Andreas Massacra

Durante la guerra fredda i policy-maker erano soprattutto analisti civili che per comprendere meglio i rapporti fra le due superpotenze utilizzarono come modello diversi esempi della teoria dei giochi: uno di essi era il famoso dilemma del prigioniero.
In questo gioco, simulazione o esperimento mentale, un inquirente colloca due sospettati di grave reato in due celle diverse senza possibilità di mutua comunicazione e lascia ad essi due alternative: confessare oppure rimanere in silenzio. Se ambedue rimangono zitti allora la pena sarà lieve per entrambi; se ciascuno di loro confessa, allora entrambi riceveranno una pena inferiore al massimo. Se invece uno tace e l’altro confessa il primo verrà condannato al massimo della pena mentre il secondo riceverà una sanzione irrisoria. I due prigionieri vengono messi al corrente delle regole del gioco una volta separati in celle dalle quali non è possibile comunicare l’uno con l’altro. Il primo complice, che chiameremo X, ignaro di cosa stia pensando il secondo, che chiameremo Y, sa che se confessa, al massimo riceve una pena mediana, al minimo, cioè al meglio per lui, riceve una sanzione irrisoria nel caso in cui Y, persistendo nel silenzio, continuasse a tacere. Y ragiona al medesimo modo di X non avendo garanzie sul fatto che X confessi o meno. La soluzione migliore per entrambi sarebbe quella in cui ambedue mantengono un rigoroso silenzio poiché entrambi riceverebbero una pena lieve, ma nessuno dei due ha garanzie che l’altro taccia, così è assai probabile che ambedue confessino ottenendo una pena mediana. Questo è il meccanismo del maximin, in cui ciascuno dei due ottiene il migliore tra i peggiori risultati possibili.
USA e URSS considerati come X e Y, nella corsa agli armamenti sembravano rispecchiare tale situazione. Tuttavia bisogna dire che ci sono alcune precisazioni da fare giacché non esiste al mondo un decisore terzo tanto potente da costringere le due superpotenze a delle regole del gioco imponendole loro dall’esterno. Entrambe come X e Y avevano il potere e la possibilità di adottare la soluzione migliore, cioè fermare da subito la corsa agli armamenti nucleari (il tacere nel dilemma) ma esse scelsero di procedere a rimpolpare e ammodernare di continuo il loro arsenale, perché nutrivano dubbi sulle intenzioni e motivazioni reciproche. Infatti ciascuna delle due parti si riteneva capace di autocontrollo e autodeterrenza (di silenzio) ma questa capacità e questa volontà non era data alla controparte. E così non si agì giudicando le possibili intenzioni dell’altro ma guardando al suo potenziale effettivo.
Gli stati agirono in questo modo ma gli USA forniscono anche due esempi di scienziati che furono coinvolti in questo dilemma: Isdor Isaac Rabi ed Ede (Edward) Teller.
Isidor Rabi, Nobel per la fisica nel 1944 ( per aver scoperto la risonanza magnetica nucleare), membro del General Advisory Commitee, dell’Atomic Energy Committee e del Science Advisory Commitee, cercò sempre di limitare la logica degli armamenti nucleari avendo ben presente lo schema dei giochi esposto poco sopra. Fin dai primordi dell’era nucleare accettò solo una collaborazione parziale ed esterna con il progetto Manhattan e in seguito si sarebbe opposto, come membro delle commissioni suddette, ad ulteriori sviluppi degli armamenti, ad iniziare dalla bomba H. Potremmo citare le stesse parole di Rabi: “[…] quando penso agli ultimi trenta anni, vorrei che si ingaggiasse un’equipe di psichiatri o di medici per capire cosa c’è che non va negli statisti di tutto il mondo. Quello che è successo è semplicemente follia pura!”[1]
Ede Teller invece cadde nel dilemma; eppure egli era un brillantissimo scienziato (inventò la bomba H; scoprì, insieme al fisico Hermann Arthur Jahn, l’effetto Jahn-Teller; vinse il premio Fermi nel 1962; fu membro del consiglio scientifico del presidente sotto l’amministrazione Reagan) sicuramente conosceva la teoria dei giochi. Teller era però mosso da motivazioni che eccedevano la logica ma che implicavano, come quelle di Rabi, ragioni morali e politiche. Durante il suo soggiorno a Los Alamos, come membro del progetto Manhattan, Teller pensava che: “La comunità scientifica era straordinariamente omogenea nel suo amore fanatico per la scienza e nei suoi giudizi politici liberal, che erano quelli comunemente espressi nei campus delle università americane. Ero lentamente giunto a capire , che per due importanti aspetti, le mie opinioni erano diverse da quelle sostenute dalla maggioranza. Forse, avendo trascorso i quattro anni precedenti a lavorare per e sulla ricerca degli armamenti, ritenevo che essa avrebbe continuato a rivestire una grande importanza per il futuro. Diversamente da tanti altri nella comunità scientifica di Los Alamos, mi ero andato convincendo che i problemi legati alla Russia comunista erano enormi”[2].
Teller ebbe sempre paura dell’URSS, non si fidò mai della sua politica e mai giudicò prive di sotterfugi, negli anni a venire, le intenzioni sovietiche. In realtà lo scienziato ungaro-americano non guardo mai con favore alle società “non libere”, avendo egli dovuto subire il regime di Béla Khun e quello di Horthy; inoltre a contribuire ad un giudizio negativo sul regime comunista furono le disavventure dei suoi amici Lev Landau e George Gamow3. Dopo la guerra, fu la famiglia di Teller, rimasta a Budapest a sperimentare la durezza del regime sovietico.
Oltre alla paura c’è però un altro movente: “conoscere e applicare”. Si potrebbe dire che Teller fosse un assetato di conoscenza, che doveva essere seguita da una applicazione che non fosse necessariamente militare. In generale valeva per lui l’assunto di dover conoscere tutto ciò che si può conoscere e procedere nella ricerca in tutti i campi.
Questa sua idea, e l’entusiasmo personale di Teller per ogni nuova impresa scientifica, lo condussero ad un altro errore di valutazione, questa volta riguardo alla SDI4 (chiamata anche “Guerre Stellari”) che consisteva in un sistema ABM5 dislocato nello spazio che avrebbe dovuto fermare i missili intercontinentali dell’Unione Sovietica tramite fasci di laser a raggi X “pompati” grazie ad ordigni a fissione.
Le difficoltà tecniche erano davvero immense ma l’errore di valutazione della SDI fu un errore politico e strategico come segnalò un altro geniale scienziato, il sovietico Andrej Sacharov che progettò la bomba H sovietica[6].

Infatti nell’idea di Teller la difesa avrebbe dovuto sostituire l’offesa e portare il conflitto bipolare da una situazione di mutua distruzione assicurata ad una mutua sopravvivenza assicurata. La difesa, inoltre, era moralmente più accettabile dell’offesa. La SDI, nel caso in cui fosse stata portata a termine, avrebbe minato la deterrenza, che in sostanza si basava sul fatto che nessuna delle due superpotenze aveva una capacità di first strike tale da impedire all’altra una reazione altrettanto devastante, e con essa il controllo degli armamenti, che in fondo era giustificato dalla mutua distruzione assicurata.

Secondo Sacharov “ […] la creazione di un sistema del genere sarebbe un grave errore. Credo che destabilizzerebbe la situazione mondiale. Se tali sistemi venissero installati, anche prima che vengano armati con armi atomiche, ci sarà la tentazione di distruggerli, e ciò, già di per sé, potrebbe scatenare una guerra nucleare”.[7]

In buona sostanza Sacharov aveva visto che anche nel caso, improbabile e difficile, in cui la SDI avesse funzionato in maniera perfetta da scudo totale (Teller all’inizio degli anni ’80 era convinto di questo ma poi ripiegò molto presto –già nel 1983- per una difesa parziale) i sovietici avrebbero potuto prendere contromisure: i satelliti dei laser a raggi X sarebbero stati i primi bersagli dei missili sovietici in caso di attacco; oppure si potevano usare dei missili “esca” così da trarre in inganno i radar dei satelliti; oppure si poteva sferrare un attacco massiccio in modo da sovraccaricare i radar. Infine l’URSS avrebbe potuto sviluppare a sua volta un sistema SDI. Quindi tutti gli indizi portavano al fatto che la risposta che l’URSS avrebbe dato all’iniziativa USA della SDI sarebbe stata una nuova escalation delle armi nucleari e non, come voleva Teller, una fine della corsa. Difficile pensare che razionalmente Teller non avesse considerato queste obiezioni alla SDI ma tale era il suo entusiasmo, tale la sua convinzione che i sovietici fossero più avanzati degli USA negli armamenti e tale il suo rifiuto della deterrenza, che a suo dire consegnava inerme ai russi il popolo americano, che difese la sua iniziativa fino ai tagli drastici decisi da Clinton.

Opzioni non molto “razionali” quelle di Edward Teller che però ci fornisce un ottimo esempio di come le convinzioni personali possano essere (e nell maggior parte dei casi sono) un motore d’azione politica più potente della razionalità pura, persino in chi dell’indagine razionale fa la propria causa di vita.

 

Riferimenti:
P. GOODCHILD, Il vero dottor Stranamore. Edward Teller e la guerra nucleare, Raffaello Cortina Editore, 2009, Milano
F. ROMERO, Storia della guerra fredda : l’ultimo conflitto per l’Europa, Einaudi, 2009, Torino
R. CROCKATT, Cinquant’anni di guerra fredda, Salerno Editrice, 1997, Roma
M. DEL PERO, Henry Kissinger e l’ascesa dei neoconservatori : alle origini della politica estera americana, Editori Laterza, 2006, Roma – Bari.

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