L’origine ordoliberale del rapporto fra Germania ed altri paesi dell’Unione Europea.
di Fulvio Musto
In Germania, nelle ultime settimane, il dibattito pubblico nazionale relativo all’Unione Europea non si è concentrato soltanto su un’analisi delle motivazioni del successo dei populismi basata sulla critica – a volte velata, a volte assai dura – delle azioni di governo portate avanti nei paesi europei economicamente meno sviluppati. Si è fatta sempre più spazio anche una questione politica – nei media, e nei partiti di governo – che riguarda in maniera diretta il rapporto fra la Germania ed i suoi principali partner all’interno dell’Unione, che il giornalista tedesco Thomas Fricke ha efficacemente sintetizzato in una domanda – precisa e netta – all’interno di un suo recente articolo: in Europa nessuno ci vuole più bene, ma perché?I
“La rabbia nei confronti dei tedeschi: nessuno ci vuole più bene, ma perché?” è infatti il titolo di un suo pezzo pubblicato il 1 giugno dallo Spiegel on-line1, sito del popolare e diffuso periodico tedesco nel quale Fricke ha una rubrica fissa.
Thomas Fricke afferma che in Europa “tutti si lamentano della Germania. Esagerati? Forse. Ma in realtà la colpa della crisi è più nostra di quanto crediamo”2. Non solo gli italiani ci attaccano, ma lo fanno apertamente anche “i francesi, che una volta ci trovavano così simpatici”.
Il punto è che le critiche che vengono mosse alla Germania derivano dal fatto che sempre più spesso viene messa in discussione l’efficacia di quell’insieme di regole e parametri economico-sociali che sono alla base della struttura stessa dell’Unione Europea, e che hanno guidato gran parte delle ingenti politiche pubbliche costruite e perfezionate per l’Unione fin dalla sua fondazione, regole che hanno fortemente risentito di alcune impostazioni culturali tedesche del secondo dopoguerra. L’azione politica dell’Ue è stata – ed in buona parte è ancora – un’azione impregnata di una componente economica costruita attraverso trattati (es: Maastricht) ed accordi che rievocano una particolare forma di liberismo, tipico della storia tedesca del secondo dopoguerra: l’Ordoliberalismo.
Per comprendere appieno il problema, vale la pena fare una breve descrizione di cio’ di cui stiamo parlando: la teoria ordoliberale si basa sull’idea che il potere di governo debba agire per creare un ambiente giuridico funzionale all’economia ed al libero mercato, in particolare per creare un elevato livello di concorrenza. In tal senso l’ordoliberalismo si distingue dal liberalismo classico che non voleva alcun intervento del potere pubblico (laissez faire). Una solida “legge della concorrenza”, la politica monetaria sotto la responsabilità di una banca centrale impegnata nella stabilità monetaria e nella bassa inflazione, ed una politica fiscale che bilanci entrate e spesa: sono questi i dogmi principali della tesi ordoliberale. E’ abbastanza facile notare come questi siano anche gli elementi costitutivi dell’Unione Europea fin dalle sue origini. Per realizzare un’elevata concorrenza è stato creato il Commissariato Europeo per la Concorrenza, fra i piu’ potenti in seno alla Commissione; la politica monetaria è gestita dalla Banca centrale Europea (Bce) che ha nel suo Trattato istitutivo la missione di garantire stabilità monetaria e bassa inflazione (al 2%); e per quanto riguarda la politica fiscale, il controllo della spesa è uno dei cardini del Trattato di Maastricht, anche quando essa permetterebbe invece di creare un circolo virtuoso seguendo un modello Keynesiano (modello avversato dagli ordoliberali).
Come è stato osservato, il modello ordoliberale ha potuto localmente funzionare nel secondo dopoguerra in Germania in quanto accompagnato da un forte ‘Stato sociale’ tipico delle socialdemocrazie europee. Laddove tale modello non è accompagnato da uno ‘Stato sociale’ funzionante ed attivo, come oggi in larga parte delle regioni dell’Ue – anche a causa della retorica neoliberale che lo ha voluto negli ultimi decenni distruggere o limitare – i nodi (economici e sociali) vengono presto al pettine, e la rabbia cresce.
La politica europea negli anni ha subito qualche variazione e ‘contaminazione’, ma dunque si basa in sostanza su questo insieme di regole di stampo neoliberista ed ordoliberale. E’ opinione ormai diffusa che tale impostazione debba essere sostituita da una politica rinnovata e diversa, che parta da un uso consapevole della leva fiscale per realizzare investimenti pubblici, una circolazione di denaro nell’intero sistema economico dell’Euro, l’attivazione dei mercati delle aree depresse, e l’avvicinamento al commercio di quei soggetti che non guadagnano abbastanza per comprare merci: questo in definitiva genererebbe anche un maggior gettito fiscale nell’intera Unione.
Tornando dunque alla lettura dell’articolo pubblicato dallo Spiegel, anche Thomas Fricke ci ricorda che ancora adesso, nonostante molti fallimenti, la politica tedesca crede in larga parte in un’impostazione economica superata da molti teorici di economia politica, ed estesa per obbligo – attraverso un ruolo attivo del potere di Governo dell’Ue (seguendo l’impostazione ordoliberale) – anche ad altri paesi, obbligo che sta causando solo danni e rabbia.
La Germania invece si sta ‘salvando’ economicamente (e solo in parte), ottenendo una discreta crescita economica, grazie ad alcuni correttivi applicati di fatto a questa impostazione, come la politica monetaria accomodante della Bce di Draghi, e grazie alla continua spinta sull’export, che fa bene all’economia tedesca creando da anni un avanzo commerciale enorme, ma che fa male agli altri stati europei, che di fatto finanziano una buona parte del surplus della Germania (in violazione, fra l’altro, agli accordi europei che stabiliscono limiti all’avanzo commerciale proprio per evitare squilibri fra gli stati dell’Unione).
Dunque è giusto che gli altri paesi europei richiamino la Germania – e i suoi cittadini elettori – ad una presa di coscienza delle proprie responsabilità?
Secondo Fricke sì, perché “i ministri tedeschi delle finanze alla Schäuble hanno obbligato i loro colleghi democraticamente eletti negli altri paesi a fare” (per anni, attraverso l’Europa) “una politica sbagliata, che peggiora la situazione (…) Si è sempre seguito il seguente principio: vi diamo soldi solo se applicate la nostra politica (sbagliata). Non c’è da stupirsi se i beneficiari di questi ‘consigli’ tedeschi non sentano un grande affetto nei nostri confronti: e questo fa il gioco dei populisti”.
Il rischio, evidente a tutti noi, è ciò che sta accadendo in Italia (ma anche in altre regioni d’Europa e nella stessa Germania, dove alle ultime elezioni l’AfD3 ha ottenuto grande successo): la rabbia popolare cresce ed è alla base di ogni ragionamento politico, ed i populisti potranno trarre forza consenso in quei territori che, colpiti duramente dalla crisi economica, sono stati sottoposti – seguendo la logica prima descritta – a politiche economiche che hanno inciso fortemente, e negativamente, nella vita economica, sociale, personale degli individui.
Dunque le colpe della politica tedesca appaiono evidenti perché non è possibile ‘far di conto’ senza la gente, e perché – agendo impregnata di economia – ha strutturato l’Ue con un modello politico da rivedere, che ha condizionato e condiziona tuttora la politica e l’economia di molti paesi, contribuendo ad una crisi politica dell’Ue molto più di quanto si renda conto.
Ed è qui il punto, tornando all’articolo di Fricke: il ruolo del popolo tedesco, che non si accorge della ‘propria responsabilità’ rispetto alla crisi economica in atto in altri paesi europei, ritenuta spesso erroneamente ‘affar loro’, e che non vede da dove arrivano le origini della crisi politica in atto nell’Unione Europea. Fricke conclude infatti il suo articolo con una frase ad effetto, rivolta ai lettori del popolare periodico tedesco: “è ora di svegliarsi, e di prendere sul serio ciò che sta accadendo in altri paesi! (…) Non perché siano paesi strani con culture singolari (…) o con un senso dell’economia sottosviluppato, o perché il sud e il nord (…) non siano compatibili, come dice qualche cialtrone. No, è ora di svegliarsi perché sono stati i nostri politici tedeschi a predicare per anni una politica che ora si rivela essere la causa almeno parziale di questo disastro. E che adesso sta ricadendo su di noi”.
C’è da sperare – per il futuro dell’Europa e la sua tenuta democratica di fronte alla crescita dei populismi – che tale appello non rimanga inascoltato.
Autore: Fulvio Musto
Laureato con lode in Scienze Politiche nel 2008 con una Tesi sul premio Nobel per l’economia Amartya Sen, ha poi frequentato un master in economia organizzato dall’Ism in collaborazione con l’Università ‘Luiss’ Guido Carli. Dopo un’esperienza in aziende private, avvia una collaborazione pluriennale con Enti Locali (es: Regione Campania) ed Aziende culturali (es: Città della Scienza) volta a promuovere l’innovazione tecnologica sul territorio, e dunque crescita e sviluppo umano. Autore di numerosi articoli su questi temi per quotidiani nazionali (Il Sole 24 ore – Corriere del Mezzogiorno), nel 2015 pubblica con Editoriale Scientifica il volume ‘Politica, tecnologia e gestione delle vite’. Vincitore nel 2016 del Concorso per l’ammissione al ‘Dottorato di Ricerca in Scienze del Linguaggio, della Società, della Politica e dell’Educazione’ presso l’Università di Salerno coordinato dal prof. Annibale Elia, porta avanti assieme ai prof. Laura Bazzicalupo e Francesco Amoretti un’analisi del modello ‘ordoliberale’ che – attraverso lo studio dei Trattati e dell’azione economico-politica dell’Ue – viene valutato come elemento costitutivo nel processo di realizzazione dell’Unione Europea. Consulente aziendale, dal 2018 rappresenta anche il Comitato per la Valorizzazione del Dottorato come coordinatore per il Sud
Bibliografia
1 Link all’articolo: “Wut auf die Deutschen: Keiner mag uns – warum nur?”, Thomas Fricke, Spiegel Online, 1 giugno 2018.
2 Per un aiuto nella traduzione dell’articolo, ringrazio Max Walrus Frey.
3 AfD (Alternative für Deutschland) è un partito politico tedesco di estrema destra. Nazionalista, anti-europeista, ha proposto l’uscita dall’euro per la Germania. Ha posizioni conservatrici anche su temi etici e sociali (immigrazione, unioni omosessuali) ed alcuni suoi membri sono stati accusati di antisemitismo, negazionismo e razzismo. Alle elezioni del settembre 2017 il partito ha ottenuto un risultato notevole, con punte ben superiori al 30% nelle regioni dove il lavoro non è sufficientemente pagato e garantito, lo sviluppo economico e meno diffuso e l’inclusione sociale non funziona. A livello nazionale, il dato complessivo era pari al 12,4%, con 94 seggi.