di Elettra Dotti

Nel paese a una ventina di chilometri da Milano in cui sono cresciuta la situazione della mia generazione era di disarmo: se vi raccontassi delle persone che conoscevo, se vi parlassi della mia cerchia fino ai 23 anni, se vi dicessi che non è cambiato granché per quelli che non hanno avuto la mia fortuna negli incontri, capireste quanto il nostro sforzo di parlare di qualcosa che abbia un coefficiente politico medio/alto (e forse ci sovrastimo) sia sprecato. Non credo sia un caso che la mia prima esperienza di politica attiva siano stati i Cinque Stelle. Avete presente le periferie di cui tutti parlano? Avete presente il disegno di grande disagio, di palazzoni scalcinati, di drammi con la “d” e tutte le altre lettere maiuscole? Ecco, no. Certamente alcune erano e sono poggiate su queste premesse, ma non la mia e con essa molte altre. Noi siamo cresciuti morti su un terreno che non ci ha permesso un’aggregazione che esulasse dal nulla di chiacchiere sciocchine, spari in motorino, feste dell’amicizia all’oratorio senza nemmeno sapere cosa fosse una festa dell’amicizia, cd degli Aqua, pomeriggi sulle panchine del Boccio.
La famiglia ha mancato, direte voi. A furia di guardare indietro mi si spezzerà il collo, ma vi assicuro che a me e alle persone che frequentavo, avessero pure fatto il lavaggio del cervello ogni mattina con nozioni base di consapevolezza sociale (non politica, sociale), a nulla sarebbe valso: la nostra testa stava proprio immersa in altra acqua, acqua che piano piano si scaldava, lasciandoci morto pasto di chi avrebbe raccolto il nostro voto da lì a un anno.
La causa è da ricercare più su, in una complessa struttura sociale, prima che politica, che piano piano è venuta a mancare. Ma vi rimanderei a Mark Fisher, non è mio intento parlare delle radici di questo grosso disagio, perché difetto in competenze, quindi ne rinnego l’intenzione (volpe/uva). Vorrei parlarvi di persone che qualcuno spesso deride perché non riconosce loro la patente di civiltà minima.
E sia, deridetele e deridete con esse le mie amiche. Ma non potrete continuare a farlo per poi elemosinarne il voto alle prossime europee, solo per citare l’appuntamento elettorale certo più vicino.
E quando non le deriderete, sappiate che parlerete non solo di cose che non capiranno, ma anche un linguaggio che, apriste bocca sott’acqua, per loro sarebbe la stessa cosa.
Molte delle persone che conosco non sono state supportate da una rete che forse fino alla generazione prima della mia ha funzionato: a noi sono mancati i ragazzi di dieci anni più grandi che ci prendessero per mano, magari male, per dirci: “guarda lì”. Noi non guardavamo niente e niente vedevamo. Se ce lo aveste chiesto, per noi non c’era nulla da vedere. Nel nostro paese periferico e insondato non vi era nulla da vedere. Così tutti a guardare in noi, come fossimo davvero tanto preziosi da perderci pomeriggi interi, quando in realtà eravamo solo adolescenti, e poi giovani di vent’anni, che avrebbero affrontato l’università (quando l’abbiamo affrontata) senza nemmeno guardare la politica che la agitava dentro, i collettivi, le proposte e le proteste. Siamo persone allevate a pane e nulla, persone che difettano di consapevolezza, la cui conoscenza delle strutture di un governo, ad esempio, ci è tutto sommato indigesta. Facile è stato parlare alla nostra pancia, perché solo quella avevamo, noi si era tutta pancia. E un discorso che faccia ricadere la colpa sui singoli individui secondo me è fuori tempo massimo: l’individualismo ci porterà alla distruzione e forse ho usato il tempo verbale sbagliato.
Non è che la sinistra non sia più necessaria, lo è ora più che mai; ma perché le persone di cui vi parlo se ne rendano conto c’è bisogno di guardarle e tradurre i nostri progetti in un linguaggio che possano capire. Continuare a parlare bene alle pecore nere non ci porterà lontano.
L’Italia, e non solo lei, è piena di pecore bianche, tosate troppo e da mani in malafede.

(Edit: uso l’immagine delle pecore solo perché il termine “pecore nere” mi ha portata qua. Sono per il pieno riconoscimento della dignità degli ovini. Ma per chi ha capito il senso dell’articolo non credo ci sia bisogno di sottolineare quanto il mio intento non fosse offensivo)

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