di Andreas Massacra
Dove? Stati Uniti. Quando? Seconda metà del XIX secolo. Chi? Othniel Charles Marsh ed Edward Drinker Cope.
Marsh e Cope sono stati i due più grandi paleontologi dell’ottocento americano nonché fondatori delle due enormi –già all’epoca- collezioni rispettivamente a Yale e a Filadelfia. I due paleontologi, che scopersero un’innumerevole quantità di fossili di dinosauri e mammiferi e le cui descrizioni e nomenclature sono valide in gran parte ancor oggi, furono però anche grandi rivali. La rivalità sfociò poi in aperto conflitto dopo il 1877 per alcuni fossili scoperti a Como Bluff. Nel 1890 scoppiò poi la polemica veemente, aspra, al vetriolo, sull’Herald di New York con accuse reciproche di plagio e incompetenza per Marsh e di furto per Cope. Erano due personalità differenti ma il contributo di entrambi fu decisivo per lo sviluppo della paleontologia: le denominazioni proposte da Marsh –di formazione geologo specializzato in mineralogia- sono ancora usate oggi per quattro dei sei subordini di dinosauri riconosciuti (e moltissime specie portano il nome dato loro da Marsh, es: Triceratopo); Cope dal canto suo lasciò uno dei testi più influenti in paleontologia, “ I vertebrati delle formazioni terziare dell’Ovest” nel 1885, diede il nome a diverse specie di dinosauri (il Celofisio ad esempio) e pubblicò più di 1400 scritti tra saggi, monografie e resoconti. L’importanza di Cope, di formazione erpetologo specializzato in anatomia comparata, fu tale che la rivista “Copeia” porta il suo nome. Ad avere la peggio fu Cope che, essendo uno scienziato freelance, non aveva le coperture accademiche e finanziare di Marsh: per azione dello stesso Marsh venne espulso, nel 1875, dalla United States Geological Survey di cui l’accademico era presidente, finì i suoi giorni in povertà costretto a vendere parte della sua collezione e la sua stessa casa. Morì nel suo museo –che era diventato anche la sua dimora- nel 1897. Anche Marsh subì gli effetti della polemica con Cope, poiché questa lo costrinse ad occuparsi della revisione del suo lavoro passato, egli non riuscì a terminare i suoi lavori. La morte lo colse nel 1899 obbligando i suoi allievi ad un nuovo studio dei suoi fossili senza la sua competenza.
I due erano però rivali non solo sul campo della paleontologia ma anche in quello della biologia: Marsh fu probabilmente il primo sostenitore dell’evoluzionismo sulla costa est grazie alla considerevole quantità di fossili equini da lui raccolta che era una tangibile prova dell’evoluzione in azione; Cope era invece contrario all’idea di evoluzione, forse anche per la sua educazione quacchera, ma enunciò la regola secondo la quale tutte le specie, col tempo, tendono ad aumentare dimensione: nota appunto come regola di Cope. Finora gli studi effettuati, che coinvolgevano scale temporali brevi, hanno messo in evidenza che questa “Regola” , che per tanti anni è stato un caposaldo della paleontologia, valeva per alcune specie ma non per altre. Per i dinosauri questo era valido ma non per i nostri amici pennuti odierni.
Ad oggi, nel XXI secolo, si può dire che la polemica non sia ancora finita. Nel luglio 2008 uno studio A. Clauset, del Santa Fe Institute e D. Erwin del Nation Museum of Natural History a Washington intitolato “The Evolution and Distribution of Species Body Size” pubblicato su “Science” , partendo da “from fossil data and find that it robustly reproduces the distribution of 4002 mammal species from the late Quaternary. The observed fit suggests that the asymmetric distribution arises from a fundamental tradeoff between the short-term selective advantages (Cope’s rule) and long-term selective risks”
Ma la cosa interessante è giunta 7 anni dopo quando Noel A. Heim, Matthew L. Knope, Ellen K. Schaal, Steve C. Wang, Jonathan L. Payne della Stanford University in un paper dal titolo “Cope’s rule in the evolution of marine animals” (pubblicato su Science di febbraio 2015 anche se l’articolo risale ad agosto del 2014), hanno esposto un vasto resoconto di anni di studi per vagliare la veridicità della Regola di Cope. Fino ad ora si è pensato che le osservazioni fatte dal paleontologo fossero frutto di una generalizzazione di una serie di osservazioni empiriche e che la cosiddetta “Regola” non fosse che il risultato di ciò che si chiama una “deriva naturale”, ossia un collezione casuale di caratteristiche che di per sé sono ininfluenti ai fini evolutivi, non dando né speciali vantaggi o svantaggi agli individui che le posseggono. Lo studio prende in esame quasi ventimila generi marini per un arco di tempo di circa mezzo miliardo di anni. Gli scienziati hanno osservato che in generale tutte le specie e i generi tendevano ad ingrandirsi ma, tra essi, chi raggiungeva dimensioni maggiori diveniva via via più eterogeneo. Simulazioni effettuate dagli studiosi non sembrano rendere plausibile la “deriva naturale” e per contro pare invece che ci sia una qualche tendenza evolutiva e trasformativa che favorisce le dimensioni maggiori: “mean biovolume across genera has increased by a factor of 150 since the Cambrian, whereas minimum biovolume has decreased by less than a factor of 10, and maximum biovolume has increased by more than a factor of 100,000. Neutral drift from a small initial value cannot explain this pattern”. La cosa interessante di questo studio è che coprendo un arco temporale così ampio, coinvolge moltissimi generi marini e una fetta consistente di tutti i generi animali esistiti e di cui vi è documentazione fossile. In altre parole, e semplificando, nella lotta per l’evoluzione paiono essere agevolati quelle specie e quei generi che sono relativamente più grandi.
Probabilmente, quindi, più di cento anni fa Cope aveva ragione.
Ci piacerebbe vedere la faccia che farebbe Marsh!